TERZA PAGINA


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PITTORI & SCRITTORI/ PERSONAGGI / INTERVISTE

INTERVISTA ALLO SCRITTORE SARDO
ANGELO SECCI SUI TEMI
UNIVERSALI COME LA VITA E LA MORTE

"LA FELICITA'? E' QUANDO SI
ABBANDONA IL DESIDERIO
INDIVIDUALE PER UN AMORE
UNIVERSALE"

di Augusto Maccioni
(22-8-2025) Ho incontraro lo scrittore Angelo Secci mentre ritirava in tipografia a Cagliari il suo ultimo libro "Devozione e gratitudine:le chiavi per una vita felice" (
foto), un testo che a prima vista esplora uno specifico focus sulla filosofia orientale, poi però percorre le tematiche della nostra vita con una meditazione su temi universali come la morte, la vita, la felicità ma anche concetti quali tristezza e dolore. L'ultimo suo libro, dei quattro che ha pubblicato, è dedicato al senso più profondo della vita e a un piccolo segreto che in fondo è la chiave stessa per vivere una vita piena e significativa quali "gratitudine e devozione" in aggiunta ai temi trattati dall'autore. Ecco, di seguito, alcune domande che abbiamo rivolto allo scrittore sardo.
Domanda: Quattro libri alla ricerca della vita, della conoscenza e dell'amore. Quale è il segreto per essere felici?
Risposta
: La felicità è uno stato interiore che non dipende dall'esterno. Il mio percorso mi ha insegnato che per raggiungerla è fondamentale ridurre l'ego, che spesso ci spinge verso desideri materiali e aspettative superficiali.Bisogna cercare l'equanimità, cioè l'equilibrio interiore, accettando ogni aspetto della vita senza giudizio. Questo ci permette di vivere nel presente e di non essere in balia delle emozioni.Infine, la vera felicità arriva quando si abbandona il desiderio individuale in favore di un amore universale, che ci unisce a tutto ciò che esiste. Questo amore è la vera fonte di conoscenza e il segreto per una vita serena e appagante.

D.: L'ultimo libro che hai scritto è "Devozione e gratitudine: le chiavi per una vita felice" e per ricercarla è sufficiente "una quiete interiore che duri nel tempo"?

R.:La devozione sincera, accompagnata da un profondo anelito a conoscere la volontà divina per la nostra vita, e la ricerca di un sempre maggiore abbandono verso il divino, richiede certamente una quiete interiore che duri nel tempo.

D.: "Palpiti dell'Anima" è invece una raccolta di poesie col tema centrale l'amore e la devozione. E'un viaggio per arrivare alla realizzazione completa?
R.: L'amore e la devozione aiutano sicuramente a trovare la realizzazione spirituale dentro di sé, ma la realizzazione completa si raggiungerà solo quando la nostra anima si unirà con l'anima universale, che possiamo chiamare Dio o Coscienza Cosmica.

D.: Come definirebbe il rapporto tra vita e morte nella sua opera?

R.: Secondo me la vita e la morte non sono entità separate, ma due facce della stessa medaglia, che si compenetrano a vicenda.In questo senso, la vita è la possibilità, il viaggio che ci viene offerto per liberarci da tutto ciò che ci "appesantisce". È paragonabile a un campo di battaglia dove si combatte la morte dell'ego, che è simboleggiata da invidia, rabbia, attaccamenti e brama di potere."Ogni volta che superiamo uno di questi aspetti negativi, stiamo "morendo" a una parte del nostro io superficiale per far emergere una versione più autentica e spirituale di noi stessi. La morte, la vedo come una trasformazione. Sperando che permetta all'anima eterna di manifestarsi pienamente. Non c'è una separazione netta perché la morte è intrinseca alla vita stessa.

D.: Per ottenere risposte sul senso profondo dell'esistenza umana hai intrapreso un viaggio in Oriente e sei stato influenzato dalla sua filosofia. Vuoi raccontare la tua esperienza?

R.: Va bene: In seguito ad esperienze dolorose vissute da giovane, mi sono posto inevitabilmente delle domande profonde sul senso della vita e della morte. In quei momenti, la società e la religione non mi offrivano risposte che mi sembravano sufficienti. Poi, quasi "per caso", ho iniziato a leggere libri di maestri d'Oriente. Quei testi mi hanno aiutato a comprendere la mia situazione di bisogno e a trovare le prime risposte. Così, ho intrapreso dei viaggi in India, dove ho avuto l'opportunità di incontrare alcuni maestri (Guru). Loro mi hanno insegnato diverse pratiche di meditazione e di concentrazione, insieme a tecniche di respiro, che sono state fondamentali per me. Quell'esperienze mi hanno portato a una scoperta molto importante: ho capito che Gesù dice le stesse cose dei maestri d'Oriente, specialmente quando si medita nel modo giusto. Ho capito che la vera ricerca spirituale richiede umiltà e la volontà di affidarsi all'amore di Dio e dei maestri. Oggi, il mio più grande maestro è proprio Gesù, perché in lui ho trovato la visione che ha ampliato il mio percorso spirituale.

D.: Nelle filosofie orientali morte e rinascita sono spesso cicliche. In che modo questa visione influisce sulla tua scrittura?

R.: Nella mia scrittura, la visione ciclica di morte e rinascita delle filosofie orientali non si riferisce solo al corpo fisico, ma soprattutto a un processo di cambiamento e morte interiore.Lamorte è un passaggio necessario. Nei miei scritti parlo della morte come la fine dell'ego, delle paure e degli attaccamenti che ci limitano. Ogni volta che mi libero da certi condizionamenti è come se stessi affrontando una piccola "morte" incastonata dentro di me. La rinascita, è la conseguenza di questo processo. Questo ciclo è continuo: per ogni battaglia vinta, c'è una nuova sfida che richiede di lasciar andare un'altra parte di sé stessi.

D.: Credi che la società occidentale abbia una relazione più problematica con la morte rispetto a quella orientale?

R.: In generale, sì. La società occidentale tende a vedere la morte come la fine assoluta (poi ci sarà il giudizio di Dio). La morte è spesso un argomento che genera ansia e che si preferisce non affrontare. Nelle filosofie orientali, invece, la morte è vista come parte di un ciclo naturale di trasformazione. Non è una fine, ma un passaggio verso una nuova esistenza. Questa visione porta a una maggiore accettazione e a meno paura.

D.: Nella tua esperienza come si concilia l'accettazione della morte con l'istinto di sopravvivenza e la paura dell'ignoto?

R.: Accetto la morte perché so che esiste; è una realtà che non si può cambiare, e tutti dobbiamo affrontarla. Per me, morire significa semplicemente lasciare il corpo fisico. L'istinto di sopravvivenza è una forza naturale, insita in tutti gli esseri viventi, ed è normale sentirlo. La paura dell'ignoto, invece, la sento ancora perché non sono ancora arrivato a quella completa realizzazione che desidero, quindi rimangono delle paure da superare.

D. : Quali aspetti della spiritualità orientale ritieni più affini alla tua visione dell'esistenza?

R.: La mia visione si allinea con l'idea di un percorso che va oltre il corpo fisico, verso una comprensione più profonda della nostra vera identità, superando l'ego e accettando il continuo fluire dell'esistenza. Questa prospettiva, comune a molte dottrine orientali, mi permette di vedere ogni momento, inclusi gli ostacoli e le sofferenze, come parte di un ciclo di evoluzione e di rinascita, non solo fisica ma anche spirituale.

D. : Scrivere di temi così profondi richiede una particolare disciplina interiore. Come si prepara a trattare questi argomenti?

R.: Per me, scrivere di questi argomenti è il risultato di una disciplina interiore che porto avanti da molti anni. Ogni giorno, la mia mente e il mio cuore sono rivolti a questi concetti profondi.Nonsi tratta di una preparazione che comincia solo quando mi siedo a scrivere, ma di un processo che vive costantemente dentro di me.

D. :Come reagiscono i suoi lettori occidentali ai suoi riferimenti alla spiritualità orientale? Nota diffidenza o curiosità?

R.: La reazione dei lettori occidentali è divisa: c'è chi prova diffidenza e chi curiosità.Molti,soprattutto con un forte legame con la Chiesa, vedono questi concetti come lontani dalla loro fede. Per loro, la diffidenza nasce dalla paura che siano approcci contrastanti.Tuttavia,un numero crescente di persone è molto curioso. In un mondo che offre poche risposte, cercano nella spiritualità orientale nuovi strumenti per trovare pace e un senso più profondo.

D. :Progetti futuri: continuerà a esplorare il dialogo tra Oriente e Occidente?

R.: Il mio percorso spirituale ha unito differenti tradizioni, diventando la base della mia visione. Per me, la vita e la spiritualità non sono più due entità separate.Continuerò a scrivere per condividere la convinzione che, al di là delle differenze culturali e religiose, esiste un'unica verità che unisce tutti i cercatori spirituali.


UNO DEGLI SCONTRI PIU' SIGNIFICATIVI
DELLA STORIA MEDIEVALE SARDA

LA BATTAGLIA DI SANLURI

(Augusto Maccioni) La "Battaglia di Sanluri" (1409) è stato lo scontro decisivo tra il Regno di Sardegna e Corsica e le forze d'Aragona. L'articolo che segue, di Francesco Cesare Casula (foto), storico italiano, grande conoscitore e appassionato instancabile in storia della Sardegna con oltre 40 pubblicazioni, un gigante indiscusso sull'argomento, molte delle quali edite dall'Editore Delfino, racconta "Sa Battalla", una grande sconfitta da parte del Giudicato di Arborea ad opera degli aragonesi che completarono la conquista della Sardegna ponendo fine all'indipendenza del Giudicato per dare inizio al dominio spagnolo sull'isola. Casula ha approfondito l'evento nel contesto della storia medievale sarda con focus all'importanza strategica della battaglia, mettendo in evidenza anche le dinamiche politiche e militari che portarono al declino dell'Arborea. Da segnalare la grande resistenza sarda contro la dominazione straniera e la "Battaglia di Sanluri" è ancora viva nella memoria collettiva e ogni anno, a Sanluri, si svolgono rievocazioni storiche e eventi culturali per commemorare l'evento.
di Francesco Cesare Casula
Tutti i miei colleghi storici: medievisti, modernisti e contemporaneisti, conoscono perfettamente la data, il luogo e il perché della battaglia di Legnano avvenuta nel maggio del 1176 fra l'esercito dell'imperatore Federico Barbarossa e le truppe della Lega Lombarda per la libertà dei Comuni italiani. Altrettanto sanno della sanguinosa battaglia della Meloria dell'agosto 1284 fra la flotta della Repubblica di Genova e quella della Repubblica di Pisa che ebbe come lungo effetto l'orribile morte del conte Ugolino nella Torre della Fame. Così come sanno della battaglia di Lepanto dell'ottobre 1571 tra i cristiani della Lega Santa e i turchi dell'Impero Ottomano, ecc,ecc, ecc. Avvenimenti importantissimi ma svoltisi nell'ambito della storia della Penisola e dintorni, e non dell'Isola. Di contro, nessuno dei miei colleghi continentali sa della battaglia di Sanluri, a quaranta chilometri da Cagliari, combattuta il 30 giugno 1409 fra le truppe catalano-aragonesi del Regno di Sardegna e quelle indigene del limitrofo Regno di Arborèa. Eppure, grazie al risultato di quello scontro, poté affermarsi lo Stato di cui siamo tutti cittadini, di quell'istituzione giuridica che oggi si chiama Repubblica Italiana. Sembra incredibile, ma è proprio così.
Il Regno di Sardegna I più importanti testi di Diritto costituzionale recitano: "… l'attuale Stato italiano non è altro che l'antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini (G. BalladorePallieri, Oreste Ranelletti)"; ma, poi, non dicono quando è nato, dove è nato, chi l'ha fatto nascere e perché. E stiamo parlando del contenitore istituzionale che oggi ci governa, e dal quale dipendiamo in tutto e per tutto. Eppure, a volerlo, lo si trova in tutte le fonti storiche, archivistiche ed iconografiche del Settecento, del Seicento, del Cinquecento, del Quattrocento e del Trecento. Ci chiediamo, quindi: perché questa biasimevole ignoranza? Forse perché ai connazionali continentali, imbevuti di cultura peninsularista, dall'Impero romano in poi, dovere la propria esistenza sociale alla misera e marginale Sardegna fa…. ribrezzo? Io, invece, obiettivo storico sardo, sulla nascita e lo sviluppo del nostro Stato ho dedicato due grossi volumi di ben 1.222 pagine. Qui ne faccio, per TERZA PAGINA ( www.terzapaginaonline.it), un breve sunto. Esso Stato fu istituito il martedì mattina del 19 giugno 1324 quando sul colle di Bonaria, a Cagliari, fu firmato l'atto di pace fra la Repubblica di Pisa e la Corona d'Aragona in guerra fra loro per ragioni economiche e strategiche, e i territori coloniali pisani del Cagliaritano e della Gallura passarono ai Catalano-Aragonesi che li elessero a Stato (con tutti i crismi e gli attributi di personalità istituzionali: parlamento, magistratura ed organi di governo) e lo unirono a parità di condizione a tutti gli altri Stati iberici in federazione (Regno d'Aragona, Regno di Valenza, Principato di Catalogna). Che si chiamasse Regno di Sardegna o altro non ha importanza. Il nome di uno Stato è un attributo indicativo dell'istituzione e può cambiare nel tempo senza che lo Stato ne soffra (vedi la mia "Dottrina della Statualità" che, se applicata, sconvolge tutta la Storia italiana)

F.C.Casula, Il Regno di Sardegna, 2 voll., Carlo Delfino editore, Sassari 2019

L'antefatto bellico È chiaro che dopo quarant'anni di convivenza forzata nell'isola dei due Stati sovrani assolutamente diversi - il Regno di Arborèa indigeno e il Regno di Sardegna catalano-aragonese - questa ostilità sfociasse in un conflitto mortale: "… o noi o loro…". Esso per decenni fu caratterizzato da una continua serie di azioni improvvise e violente ma non da battaglie in linea, mai da scontri aperti di eserciti contro eserciti. Ogni paese dell'Arborèa era diviso militarmente in tre mute o parti che si alternavano settimanalmente in azione, in modo da garantire un numero costante di uomini e, nel contempo, da non abbandonare del tutto i lavori al villaggio. Evidentemente la tattica diede i suoi frutti positivi perché all'inizio del Quattrocento quasi tutta l'isola era in mano al re di Oristano, tranne Cagliari e Alghero. Purtroppo, in quel tempo, incombeva nella regione la terribile "peste nera" che, nel 1407, si portò via il giovane sovrano arborense Mariano V morto senza discendenza diretta. Ne approfittò il re del Regno di Sardegna -e sovrano della Corona d'Aragona - Martino il Vecchio per convincere il figlio Martino il Giovane, re di Sicilia ed erede della Federazione catalano-aragonese ad allestire una potente spedizione militare per riprendere la parte iberica della Sardegna, indispensabile per i traffici commerciali nel Mediterraneo. L'impulsivo e focoso giovane re siculo-catalano sbarcò a Cagliari con tutto il suo esercito il 6 ottobre 1408. Quasi contemporaneamente, incalzato dagli eventi, il parlamento giudicale (chiamato Corona de Logu) offrì il trono a Guglielmo III visconte di Narbona, nipote francese di Beatrice sorella di Eleonora d'Arborèa, che venne incoronato a Oristano il 13 gennaio 1409 col nome di Guglielmo I. Fu una pessima scelta. Il francese era un uomo supponente e incapace come lo era stato il nonno a Campaldino. Invece di lasciare a Cagliari immobile e con scarso vettovagliamento Martino il Giovane per mesi e mesi, così da indurlo a tornarsene in Sicilia, lo affrontò in una sfida diretta, come fosse un duello personale, durante un abboccamento nei pressi del villaggio di Mògoro(oggi scomparso) ai bordi occidentali dello stagno di Santa Gilla. Credeva di essere superiore di forze, sostenuto da truppe assoldate di francesi, genovesi e lombardi. Fu l'antefatto della battaglia di Sanluri.
La battaglia di Sanluri Durante i quindici anni che ho lavorato all'Archivio della Corona d'Aragona a Barcellona in cerca di documenti sulla Sardegna dell'epoca, ho provato a individuare fra migliaia di carte il verbale della battaglia di Sanluri; ma non l'ho trovato. D'altronde è comprensibile, perché in quell'immenso deposito documentale ci sono registrate lettere, missive e ordini in partenza ma non quelli in arrivo. Perciò, il mio resoconto sulla battaglia di Sanluri è basato su indizi, intuizioni e supposizioni ma non sulle certezze.
Lo scontro cominciò all'alba del 30 giugno 1409, di domenica. Dopo un discorso d'incitamento del sovrano Marino il Giovane, l'esercito siculo catalano aragonese iniziò ad avanzare ordinatamente fino a una lega da Sanluri. Davanti stava il generale Pietro Torrelles con mille militi e quattromila soldati; seguiva il re di Sicilia con tutta la cavalleria, mentre il resto formava la retroguardia. Uscì loro incontro dal castello di Sanluri il re di Arborèa Guglielmo I che si piazzò in posizione elevata coi fanti, e i cavalieri nascosti dietro una collina. Quanto durò e come si svolse la lotta non è molto chiaro; certo fu aspra ed accanita, perché entrambi i contendenti erano coscienti che lì si decideva della loro vita e del destino del loro popolo.
Vinsero, come si sa, le "Armi palate": ed è quello che importa. Secondo le fonti aragonesi - che certamente esagerano - morirono sul campo cinquemila sardi e quattromila furono catturati; invece, solo pochissimi nobili iberici (naturalmente, non si parla dei semplici soldati) vi avrebbero lasciato la vita: il visconte di Orta, Pietro Galcerado de Pinòs, Giovanni de Vilacausa ed un parente del signore di Lusa, che vennero poi sepolti nella chiesa di S. Pietro a Sanluri.
È certo, comunque, che l'esercito del re giudicale, composto in massima parte da uomini a piedi, cedette spaventato dagli sconosciuti colpi di cannone e dall'urto della cavalleria nemica. Si sbandò, battuto dalla classica tattica della batalla a caballo dei Siculo Aragonesi la quale - dice una fonte - "…debere alizarse corriendo contra los enemigos y lanzándose haciaellos por furor" (la carica deve realizzarsi correndo contro il nemico, e lanciandosi contro di esso con furore).

CNR-ISEM. Proiettili in pietra sparati dai cannoni catalano-aragonesi nella battaglia di Sanluri

Lo svolgimento dello scontro Da una ricognizione sul posto, e dall'esame del Foglio 225, I, S.E. delle Carte al 25.000 dell'Istituto Geografico Militare, s'intuisce come i due esercii si siano scontrati frontalmente presso un poggio - appena ad oriente di Sanluri - chiamato ancora oggi Bruncu de sa battalla; come i Siculo Aragonesi siano riusciti a sfondare lo schieramento arborense al centro ed a dividerlo in due tronconi; come abbiano aggirato e spinto il troncone destro (a sinistra di chi guarda), più numeroso, verso ovest, cioè verso Sanluri, dove una parte trovò rifugio ma soccombette sotto l'assalto delle genti di Bernardo Galcerando de Pinós, di Bernardo de Cabrera e di Giovanni Dez Vall che uccisero duecento balestrieri genovesi e cento fanti francesi e lombardi, e che passarono a fil di spada gran parte della popolazione civile, senza distinzione di sesso o di età (furono risparmiati solo gli uomini e le donne abili al lavoro); come gli Iberici inseguissero il resto, guidato da Guglielmo I, fino al castello di Monreale, in territorio storico arborense, a poche miglia di distanza, senza raggiungerlo. S'intuisce infine come, nel contempo, l'ala destra abbia incalzato il troncone sinistro dei Sardi giudicali in direzione sud est, fino a portarlo a ridosso del rio Mannu e ad intrappolarlo, facendone una strage nel luogo sinistramente denominato ancora oggi Su occidroxiu: "l'ammazzatoio", una collinetta subito dopo il bivio "Villa Santa" guardando verso Furtei.
Fu una vera disfatta per i Sardi, subito appresa con gioia a Castel di Cagliari e a Barcellona. Martino il Vecchio la seppe dai corrieri giunti trafelati con battelli veloci nella sua residenza estiva fuori città, sul colle di Sarrià, il 14 luglio.

La battaglia di Sanluri (1409)

Conclusioni La vittoriosa battaglia di Sanluri da parte dei Catalano-Aragonesi diede un futuro lungo più di settecento anni allo Stato. La Storia è consequenziale: senza il padre non ci sarebbe il figlio; senza la battaglia di Sanluri non ci sarebbero i successivi avvenimenti isolani: le rivolte baronali del Quattrocento, il Cinquecento con la piaga delle incursioni barbaresche, il tentativo d'invasione francese nel 1637, gli effetti della guerra di Successione spagnola ed il passaggio del Regno di Sardegna all'area italiana nel 1720, il Risorgimento dell'Ottocento e, infine, l'Italia odierna governata - stranezza della sorte - da una "premier" sarda: Giorgia Meloni, originaria cagliaritana da parte del padre.


Crani della battaglia di Sanluri rinvenuti nel 1980 negli scavi del soprintendente Ferruccio Barreca


INTERVISTA A FRANCESCO CESARE
CASULA, GRANDE STORICO E

ACCADEMICO ITALIANO
SINORA CI HANNO RACCONTATO UNA
STORIA SBAGLIATA. ECCO PERCHE' L'ITALIA

E' NATA IN SARDEGNA NEL 1324

di Augusto Maccioni
(19-7-2025) Mi accoglie al CNR, a Cagliari all'angolo tra via Tuveri e Largo Patrizio Gennari, con un sorriso e tanto entusiasmo, come un ragazzino aperto al mondo e proteso a nuove conoscenze. L'incontro è con Francesco Cesare Casula (a sinistra con Augusto Maccioni), storico e accademico italiano, specializzato in storia medievale e moderna, un gigante sulla storia della Sardegna che ha fatto conoscere a oltre tre generazioni, pubblicando 40 libri e numerosi saggi e articoli sull'isola e le sue origini , con focus sulla continuità giuridica tra il Regno di Sardegna e lo Stato italiano. Un dato importante è che il noto medievista e studioso di storia sarda ha spento 92 candeline, un traguardo meritevole di attenzione perché Casula non ha mai smesso di divulgare, attraverso i suoi libri

e articoli, il ruolo della Sardegna nella costruzione dell'Italia, sottolineando che il titolo regio sardo fu essenziale per l'unificazione, criticando di fatto la storiografia tradizionale che tende a minimizzare il ruolo della Sardegna. Per capire meglio e approfondire questo legame, Casula ha utilizzato la metafora della "pentola e del contenuto", che offre una lettura coinvolgente e decisamente comprensibile, oltre ad essere originale, per comprendere l'evoluzione degli Stati e delle nazioni nel corso dei secoli ed è efficace per analizzare la storia della Sardegna. Entriamo nel vivo della discussione, appassionante quanto complessa, ma che il professore riesce sempre a dare un senso compiuto alle sue argomentazioni sempre lineari e senza stravolgere la storia. Secondo Casula lo Stato può essere visto come una "pentola", una struttura istituzionale, mentre il popolo e la sua cultura rappresentano il "contenuto". La "pentola" può cambiare forma, persino frantumarsi, ma il "contenuto", cioè identità storica, linguistica e culturale di un popolo, può sopravvivere e adattarsi a nuovi "contenitori". Vediamo "pentola" e "contenuto" sulla Sardegna: nel corso dei secoli il "contenuto" è cambiato più volte con l'avvicendarsi di diverse dominazioni, dai Romani ai Bizantini, ma anche dagli aragonesi e dai piemontesi, ma il "contenuto", cioè la cultura sarda, ha resistito, adattandosi alla "pentola" senza mai perdere la sua essenza. Applicandolo all'evoluzione degli Stati moderni, le nazioni, secondo Casula, non sono entità statiche ma dinamiche. C'è l'esempio del Regno di Sardegna: nato nel 1324 come Stato catalano-aragonese, divenne poi sabaudo e successivamente strumento per l'unificazione italiana. La "pentola" è mutata radicalmente, ma il "contenuto", cioè in questo caso l'identità sarda, continuava a esistere. Secondo l'adagio: "Gli Stati passano, i popoli restano" tenendo conto quindi, nonostante le trasformazioni geopolitiche e in un'epoca dove gli Stati nazionali entrano in crisi, che gli Stati come strutture politiche sono transitorie, mentre le identità collettive resistono attraverso la cultura, la lingua e la memoria storica. Ecco di seguito l'intervista all'accademico, scrittore e giornalista Francesco Cesare Casula.

DOMANDA:
Professore, qual è la sua filosofia storica - chiamata "Dottrina della Statualità" - secondo la quale l'attuale Stato italiano ha avuto origine in Sardegna?

RISPOSTA: Innanzitutto, per capirci, bisogna rifarsi al Diritto istituzionale e costituzionale ed applicarlo alla Storia. Uno Stato, fin da quando esiste l'uomo, è formato da uno o più popoli, stanziati in un determinato territorio anche non contiguo, tutti legati da uno stesso vincolo giuridico, osservanti tutti le stesse leggi. Ogni Stato ha una data di nascita, anche se a volte non si conosce perché perduta nel tempo. E ogni Stato ha i suoi caratteri distintivi che lo identificano: la sua forma costituzionale (monarchia o repubblica), il suo nome (per esempio: Regno di Spagna, Repubblica francese, Sultanato di Oman, ecc.). Ha la sua bandiera, le sue divise militari, i suoi emblemi, i suoi inni, ecc. Tutti questi caratteri distintivi possono mutare senza che lo Stato ne soffra in quanto istituzione di base permanente (muore soltanto se per guerra o altro muta la sua condizione giuridica da assoluta a derivata). Forti della conoscenza di questi semplici elementi giuridici ci chiediamo ora: quando è nato, dove è nato e qual è lo sviluppo storico dello Stato di cui attualmente siamo tutti cittadini con tanto di documenti che lo dimostrano (passaporto, carta d'identità, codice fiscale, tessera sanitaria, ecc.). So benissimo che la storiografia peninsulare, per convenienza e prestigio, afferma che il nostro Stato è nato il 17 marzo 1861 allorquando, dopo le guerre risorgimentali, ha preso "ex abrupto" (= senza alcuna legge parlamentare che lo stabilisca) il nome di Regno d'Italia e che di conseguenza ha fatto proprio tutto il passato storico, artistico, letterario e sociale degli Stati dello Stivale annessi (è come se un cuoco al suo minestrone aggiunga i minestroni di tutte le pentole che ha a disposizione in cucina e lo faccia passare come un grande e saporito minestrone cotto da lui).
Invece, le cose scientificamente non stanno così

D.: Secondo lei, come stanno le cose? E cosa c'entra la Sardegna con tutto questo?

R.: La domenica del 17 marzo 1861 lo Stato ha solo cambiato il nome da Regno di Sardegna in Regno d'Italia ma non ha cambiato con ciò la sua essenza istituzionale, la sua realtà vitale (tant'è che la Gazzetta ufficiale continuò ad essere pubblicata con la numerazione progressiva statale sarda). Eppure, basterebbe risalire all'indietro nel tempo usando il titolo e il nome, cosa che la storiografia italiana non fa, per convenienza e tornaconto: Repubblica Italiana dal 2 giugno 1946, Regno d'Italia dal 17 marzo 1861, Regno di Sardegna dal…. e, qui, tutto si ferma; anche il Diritto che recita: "L'attuale Stato italiano non è altro che l'antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini" (Balladore Paglieri). Ma non dice quando e dove si è formato lo Stato chiamato Regno di Sardegna.
Eppure lo troviamo in tutti i documenti archivistici, iconografici e storici del Settecento, del Seicento, dal Cinquecento, del Quattrocento, del Trecento, fino al 19 giugno 1324 quando sul colle di Bonaria e Cagliari (
foto dal web/social) fu firmato l'atto di pace fra la Repubblica di Pisa e la Corona d'Aragona in guerra fra loro per ragioni economiche e strategiche, e i territori coloniali pisani di Cagliari e Gallura passarono ai Catalano-Aragonesi che li elessero a Stato (con tutti gli attributi statali) e lo unirono a parità di condizione a tutti gli altri Stati iberici in unione reale (Regno d'Aragona, Regno di Valenza, Principato di Catalogna). E tale rimase fino al 1720 quando, al termine della guerra di Successione spagnola, il Regno di Sardegna entrò in area italiana unendosi al Principato di Piemonte, al Ducato di Savoia e alla Contea di Nizza. Tutto il complesso si chiamò Regno di Sardegna il quale dal 1848 al 1861 si annetté tutti i sei Stati della Penisola(Regno lombardo-veneto, Ducato di Parma e Piacenza, Ducato di Modena e Reggio, Granducato di Toscana, Regno delle Due Sicilie, Stato della Chiesa)e fece l'unità d'Italia.
Questa, in breve, è la nascita e la storia dello Stato oggi detto italiano. (
foto sotto: Francesco Cesare Casula)


D.:
Qual è la morale politica di tutto questo discorso? Siamo solo al dettaglio storico e a qualche fondamento di base sconosciuto per ragioni di ignoranza del passato o per vergogna di umiltà d'origini?

R.: Ai connazionali continentali discendere dalla Sardegna e dover tutta la propria esistenza sociale ad un'isola lontana, marginata e ritenuta semiselvaggia fa venire la pelle d'oca, suscita la repulsione più assoluta. Quindi? Si son detti: inventiamoci un'unità d'Italia "ad hoc" a partire da Romolo e Remo in giù e al diavolo la scienza!

D.: Professore, e tutto il resto della Storia sarda?

R.: Tutto il resto della Storia sarda dal Paleolitico fino al 1324 resta inalterato, purché inserito nella "Dottrina della Statualità" (cito i regni giudicali, la Sardegna romana-bizantina, la Sardegna fenicio-punica, la Sardegna nuragica e prenuragica); senza mai ricorrere alla mitopoiesi come fanno molti storici dilettanti locali.

D.: E la Nazione sarda, tanto cara ai sardisti culturali?

R.: Anche io sono un sardista culturale, ma sono pure uno storico di professione, e non mi lascio prendere dalle passioni. La Nazione non è un concetto giuridico come lo Stato e non ha niente di scientifico. La Nazione è un sentimento collettivo, un "idem sentire" di comunanza di storia, lingua, tradizioni, religione e modi di vita associativi. Una persona è vincolata per nascita ad essere il prodotto di uno Stato, anche se poi cambia di cittadinanza, di fisico, di comportamento; ma non è obbligata a seguire una nazionalità (io ho due figli che vivono fuori dall'isola fin da giovanissimi, che non si sentono di nazione sarda pur essendo nati a Cagliari). Che la Sardegna col passare dei secoli sia diventata una Nazione non c'è dubbio: ha una propria storia, una propria lingua (proveniente dal tardo latino in forma bifida logudorese e campidanese con apporti catalani, spagnoli e italiani) e ha proprie musiche, propri costumi e balli antichi e originalissimi, ha modi di vita diversi dalla Nazione italiana (la quale ancora si sta formando dopo il 1861 e che è messa in crisi dall'arrivo di migranti di nazionalità diversa) di cui la nostra Nazione sarda fa parte in forma di etnia distinguendosi chiaramenteda quella peninsulare in tutte le sue espressioni.


Fino al 17 marzo 1861 tutta l'Italia era Sardegna e tutti gli Italiani erano Sardi


D.: Nel suo libro "Italia: il grande inganno (1861-2011)" critica la narrazione unitaria italiana. Quali sono secondo lei gli errori più gravi nella storiografia tradizionale sulla Sardegna?

R.: Nel mio libro "Italia: il grande inganno" ho denunciato la costruzione di una narrazione storica italianista artificiosa, che emargina le identità regionali, in particolare quella sarda. La storiografia tradizionale peninsulare ha commesso diversi errori fondamentali nella rappresentazione della Sardegna, spesso ridotta a una periferia passiva o a un mero oggetto di conquista. Questa revisione non è anti-italiana ma anti-colonialista con l'obiettivo di restituire alla Sardegna il ruolo di protagonista nella Storia, anziché vittima di un destino imposto da Torino o Roma.

D.: Più volte ha denunciato la mancanza della Storia sarda nei programmi scolastici, nonostante il ruolo cruciale del Regno di Sardegna nella formazione dello Stato. Che fare per rimediare a questi "errori", cosa potrebbe fare la Regione della Sardegna e chi ha volontà e potere per rimettere la Storia di Sardegna nella giusta posizione?

R.: L'assenza della Storia sarda nei programmi scolastici non è un semplice "vuoto culturale" ma un atto di supremazia culturale che ha distorto la percezione dell'identità nazionale. C'è la possibilità di correggere questo vuoto con azioni concrete come ad esempio inserire la Storia sarda come materia obbligatoria nelle scuole dell'isola, dalle primarie alle superiori, con programmi precisi. Poi, finanziare corsi di formazione per insegnati e potenziare, rendendolo al passo con i nostri tempi,l'istituto universitario di Storia sarda. È importante, e non impossibile, che i programmi ministeriali includano la Sardegna non come "appendice" ma come studio centrale con focus al periodo del Regno di Sardegna come matrice dell'unità d'Italia. La lingua sarda, poi, deve essere riconosciuta a tutti gli effetti lingua storica e non relegarla al folclore. Ruolo importante dovrà avere la Regione sarda che ha il potere legale per agire sulla scuola locale e finanziare progetti. Non si tratta di regionalismo ma di esigenza sociale che non si può tralasciare. Del resto, se la Sicilia è riuscita a far riconoscere la sua storia, dai Normanni alla Costituzione del 1812,non si capisce come mai la Regione sarda e le varie istituzioni non possano fare altrettanto per laSardegna che ha un passato molto più importante nella formazione dello Stato che ci regge.

D.: Lei si definisce un "provocatore" intellettuale, con l'obiettivo di "cambiare la testa ai sardi" trasformandoli da sudditi passivi a cittadini consapevoli del loro passato glorioso.

R.: Lo ammetto, sono un provocatore culturale, e il mio obiettivo non è distruggere ma risvegliare i Sardi che per secoli si sono adeguati come sudditi, prima degli Aragonesi poi dei Savoia e poi di un Governo italiano peninsulare. I Sardi devono "cambiare testa" nel senso che la Scuola italiana ha sempre insegnato ai Sardi che la loro storia è marginale e minoritaria mentre è centrale per comprendere la vera nostra Storia, il passato fino alla Repubblica Italiana.

D.: Prof. Casula, Lei ha avuto anche un grande impegno politico e fu amico e consulente culturale del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Può raccontarci di quell'incarico rischioso in Romania nel 1989 quando incontrò, per conto di Cossiga e del ministro Giulio Andreotti, il dittatore Ceausescu?

R.: Ah, la missione in Romania del 1989 è un capitolo molto particolare della mia vita che pochi conoscono. Ero consigliere culturale del Presidente della Repubblica, e ambasciatore "volante" (senza ufficialità) con contatti in mezza Europa. Quando Cossiga mi chiese di incontrare Ceausescu sapevo che sarebbe stato un viaggio pericoloso, ma accettai per dovere istituzionale e per una personale sfida del rischio. La Romania era in piena rivoluzione col suo Presidente accerchiato dalle proteste di piazza,e l'Italia voleva capire se il dittatore avesse ancora margini di manovra. Cossiga e Andreotti mi inviarono come canale informale stante i miei legami con gli ambienti accademici romeni. Lo incontrai nel suo palazzo di Bucarest, pochi mesi prima che lo fucilassero: era un uomo in declino,ma convinto di poter reprimere la rivolta. Gli dissi che l'Occidente lo avrebbe abbandonato ma lui rise: "La Romania è mia, e nessuno me la toglierà". Dopo l'incontro riuscii a rientrare in Italia solo grazie a un volo diplomatico organizzato da Andreotti, se fossi rimasto un giorno in più forse avrei potuto fare la stessa fine del dittatore.

D.: Lei è stato, oltre che negli Stati Uniti come "observer" presso l'OSA, anche in Spagna sempre per incarico del Presidente della Repubblica. Può raccontarci il motivo?

R.; Era la fine degli anni '80 e la missione in Spagna era legata a due questioni fondamentali: la memoria storica del dominio aragonese-spagnolo in Sardegna e il ruolo dell'Isola nel contesto mediterraneo durante la Guerra Fredda. Era un incarico di Cossiga molto delicato e strategicamente rilevante non solo per ragioni culturali, ma anche per ridare peso geopolitico all'isola in un'Europa che stava cambiando. L'obiettivo, per Cossiga, da sardo e da statista, era quello di riallacciare i legami tra la Sardegna e la Spagna: recuperare documenti storici negli archivi di Barcellona e di Madrid dove ci sono migliaia di carte inedite sui Parlamenti sardi sotto la Corona d'Aragona con le prove dell'autonomia politica dell'isola prima dell'arrivo dei Savoia. Documenti che Cossiga voleva che fossero studiati e divulgati per riscrivere la Storia ufficiale anche perché il presidente della Repubblica sognava una collaborazione tra Sardegna, Catalogna e Paesi Baschi. C'era anche l'idea audace di far riconoscere la Sardegna come Nazione culturale prima che l'UE si allargasse a Est. Durante la Guerra Fredda la Sardegna era un avamposto della Nato, ma Cossiga voleva bilanciare l'influenza Usa sulla la Spagna. La missione era delicata anche perché Roma non approvava temendo un risveglio autonomista sardo e quindi anche i miei viaggi erano considerati sospetti e solo Andreotti mi coprì: "Casula, non esageri con i sogni di gloria!" e pure la Cia si era mossa per capire i miei movimenti anche se gli Americani mi "consideravano un nazionalistico romantico ma non pericoloso". Dalle carte che ho potuto recuperare e studiare, la Sardegna non fu mai una semplice colonia spagnola ma un Regno con Parlamenti e leggi proprie, per questo motivo Cossiga voleva usare quella storia per chiedere maggiore autonomia per l'isola, ma la sua uscita di scena nel '92 non si concretizzò.




SILVIO CARTA UN NOME,UNA
STORIA E UNA GARANZIA

DALLA VERNACCIA DI ORISTANO
AL TRIONFO DI BOMBA CARTA

di Augusto Maccioni
(18-11-2024) Silvio Carta, un nome, una storia e una garanzia (
foto da destra: amaro Bomba Carta, Elio Carta presidente della società, Nino Mason Carta, il fondatore Silvio Carta e Alberto Mason Carta). Tutto nasce nel 1950 quando Silvio Carta, molto intraprendente nel campo della vinificazione, ha iniziato l'attività producendo la Vernaccia di Oristano, un vino pregiato che si produce con tecniche tradizionali. Poi la cantina e la distilleria si è ingrandita e attualmente è una delle più attive in Sardegna e nel territorio nazionale. Non solo Vernaccia che, tra l'altro, al Vinitaly 2024 è stato premiato come migliore vino bianco d'Italia con un prezioso e molto importante 96/100, ma anche un'ampia varietà di vini come il Cannonau, il Cagnulari, il Monica, Vermentino. Silvio Carta è un grande personaggio nel mondo dei vini in Sardegna, e non solo, e con i suoi 95anni ha compiuto un'impresa straordinaria e autentica nella storia dell'enologia sarda. Ha festeggiato gli anni con semplicità, tra i suoi dipendenti, col figlio Elio e i nipoti Alberto e Nino Mason, il 15 novembre, anticipando la grande festa del 18, con un pranzo tradizionale (foto sotto)



che è la somma della sua attività sempre all'insegna della qualità, della naturalità e dell'innovazione. E dopo il pranzo poteva mancare un buon digestivo? Ecco allora l'amaro "Bomba Carta" con infuso di erbe sarde e miele sardo amaro di corbezzolo per la gioia dei palati esigenti. Poi via ai balli, tradizionalmente sardo, col fondatore Silvio Carta autentico campione nel ballo, nella vinificazione e nella vita. Da oltre 70 anni Silvio Carta è l'azienda che si è imposta con forza in Sardegna non solo per la vernaccia e i vini ma con la sapiente e tenacia passione del figlio Elio Carta ha ampliato la vasta gamma di prodotti di alta qualità con i liquori, amari e i distillati. Ecco allora i rinomati e molto graditi mirto, limoncello, grappe e la grande novità Bomba Carta che ha avuto subito i favori della gente, e in modo particolare dei giovani, ed è stato apprezzato per la sua qualità ottenuta dall'infuso di erbe sarde e miele sardo amaro di corbezzolo. La famiglia degli amari è ampia, c'è anche Aspide Spritz e BitteRoma ma anche il pregevole Whisky Single Malt, ottenuto con la doppia distillazione nello storico alambicco discontinuo in rame e invecchiamento in storiche botti centenarie di castagno sardo.



Silvio Carta è una viva azienda che va avanti con grande passione da tre generazioni sempre all'insegna della tradizione proponendo prodotti che esprimono il territorio sardo in ogni sorso. Nell'azienda è sempre vigile il fondatore Silvio che continua a partecipare, con i suoi 95anni, quotidianamente all'attività occupandosi della cura delle piante di mirto, limone, liquirizia e ginepro e del nostro orto botanico. Il futuro è alle porte e Silvio Carta ha in programma, sempre come tributo alla nostra terra, il Paper Elderflower, un liquore delicato ai fiori di sambuco, e l'Old Tom Carta, un gin in stile Old Tom che unisce ginepro sardo e il nostro miele, per un equilibrio raffinato.



Ecco l'intervista al nipote Nino Mason Carta che ci fa conoscere meglio l'Azienda e i suoi prodotti unici, straordinariamente sardi per la gioia di tutti.
Domanda - Da oltre 70 anni rappresentate la Sardegna con amari e aperitivi. Straordinaria poi la vernaccia di Oristano, il mirto e il limoncello. Come furono gli inizi dell'Azienda?

Risposta - Fondata da nostro Nonno Silvio agli albori degli anni '50, la cantina e distilleria Silvio Carta è attualmente una delle più attive in Sardegna e nel territorio nazionale, e nasce con la vinificazione e l'invecchiamento in botti centenarie di castagno sardo del vino Vernaccia di Oristano, un'autentica gloria dell'enologia sarda (quest'anno al Vinitaly 2024 siamo stati premiati come Migliore Vino Bianco d'Italia con la Vernaccia di Oristano Doc Riserva 2004 Silvio Carta con 96/100!), al quale negli anni si aggiunge un'ampia varietà di vini come il Cannonau di Sardegna DOC, il Cagnulari Isola dei Nuraghi IGP, il Monica di Sardegna DOC e il Vermentino Serenata DOCG Superiore.
Grazie al sapiente lavoro del figlio Elio Carta abbiamo poi raggiunto il pubblico internazionale con una vasta gamma di prodotti di alta qualità nel settore dei liquori e dei distillati, quali il Mirto Ricetta Storica (premiato come miglior mirto rosso), il Limonello Ricetta Originale, il gin Giniu (primo gin sardo creato 14 anni fa e premiato tra i 10 migliori gin in Italia dalla rivista Gambero Rosso), le Grappe invecchiate di Vernaccia e vitigni sardi misti, i Vermouth Rosso e Bianco Servito (primi Vermouth sardi con base Vernaccia), Amaro Bomba Carta (una delle nostre apprezzatissime novità, con infuso di erbe sarde e miele sardo amaro di corbezzolo),

Aspide Spritz, BitteRoma Rosso e Bianco, Liqu Liquore di liquirizia, Sard Orange liquore alle arance, Whisky Single Malt (ottenuto da orzo maltato sardo, doppia distillazione nel nostro storico alambicco discontinuo in rame e invecchiamento in storiche botti centenarie di castagno sardo) e distillato di agave blu sarda, il 41 Bis!
Sempre all'insegna della qualità e della naturalità, portiamo avanti di pari passo tradizione e innovazione. Per questo la nostra filosofia è ben riassunta dal claim "Armonia della natura".
Nostro nonno Silvio Carta, nel frattempo, con i suoi 94 anni, partecipa quotidianamente all'attività dell'azienda occupandosi tutt'oggi della cura delle piante di mirto, limone, liquirizia e ginepro e del nostro orto botanico. L'azienda si trova nella costa occidentale della Sardegna, il Sinis, a soli 10 km dal mare. Questo è un punto di forza di tutti i nostri prodotti perché i vigneti (lo stesso vino Vernaccia si trova solo in quest'area, la cosiddetta Valle del Tirso), il ginepro e le piante di mirto, crescono vicino al mare sulla costa. In Sardegna il vento Maestrale è fortissimo tutto l'anno e la salinità del mare arriva sino alle bacche e all'uva, donando loro un profumo, un aroma e una sapidità unici.
Si tratta di un'area particolarmente vocata alla coltivazione di rinomati vitigni e allo sviluppo spontaneo di piante officinali. La natura col suo mare limpido, le montagne ricoperte da una vegetazione intricata di selvaggia bellezza, i forti venti che soffiano per la maggior parte dell'anno e il sole splendente che ci riscalda in ogni stagione consentono alla flora e alla fauna dell'isola di avere proprietà organolettiche che sono uniche al mondo e impossibili da imitare.


Le qualità delle nostre botaniche, erbe aromatiche e spezie utilizzate racchiudono tutti i profumi ed i sapori della Sardegna, per un'esperienza di degustazione indimenticabile.
Sono il nostro elemento chiave per ottenere prodotti di alta qualità propri del territorio e per questo terra, natura e conoscenza sono la nostra tecnica da oltre 70 anni.
Al giorno d'oggi, siamo la terza generazione che lavora insieme per portare avanti questa attività con nuove idee e progetti per il nostro futuro, ma sempre con un occhio alla storia di nostro nonno e alla sua grande esperienza di vita.

Con quale prodotto avete iniziato?

Abbiamo iniziato con la Vernaccia di Oristano, un vino pregiato che produciamo e invecchiamo con tecniche tradizionali. Quest'anno la nostra Vernaccia di Oristano Doc Riserva 2004 è stata premiata come Miglior Vino Bianco d'Italia a Vinitaly 2024 con 96/100.

Silvio Carta, un nome e una garanzia. Una breve storia

La nostra storia è iniziata con nonno Silvio, che con passione e visione ha fondato l'azienda negli anni '50. Da allora, la nostra famiglia ha continuato a innovare, mantenendo la qualità al centro. Siamo oggi alla terza generazione, e insieme stiamo portando avanti questa eredità con prodotti che esprimono il territorio sardo in ogni sorso.



I numeri della vostra attività: quanti amari o aperitivi riuscite a piazzare in Sardegna e quanti in Italia e all'estero

Il nostro mercato principale resta la Sardegna e l'Italia, ma negli ultimi anni abbiamo raggiunto anche gli Stati Uniti, la Germania, il nord Europa e l'Asia, riscontrando una crescente apprezzamento internazionale.

In che modo siete conosciuti all'estero. Quando avete pensato di allargare la vostra diffusione al di fuori della Sardegna

Circa 5-6 anni fa abbiamo iniziato a farci conoscere all'estero, puntando sui prodotti che raccontano il nostro territorio. Siamo entrati gradualmente in nuovi mercati, e oggi siamo presenti in diverse parti del mondo grazie all'alta qualità dei nostri prodotti e alla passione che ci contraddistingue.

Gli ultimi nati sono gli amari CARTAMARO e BOMBACARTA, c'è stata una rispondenza da parte della gente. A chi sono rivolti questi prodotti, perché il nome e l'etichetta così originale
Amaro CartAmaro e Amaro Bomba Carta sono vere esplosioni di gusto, ciascuno con una personalità unica. Il CartAmaro si distingue per il carciofo come ingrediente principale, combinato con elicriso, rosmarino e salvia, tutte erbe raccolte direttamente dal nostro giardino botanico. Insieme, queste note creano un profilo aromatico deciso, capace di sorprendere ad ogni sorso.
Ma è il Bomba Carta a dare un'esperienza ancora più intensa: un amaro che incarna l'essenza selvaggia della Sardegna, grazie a un'infusione di erbe autoctone e al tocco speciale del miele di corbezzolo sardo. Per riflettere l'energia e il carattere di questo amaro, abbiamo ideato un packaging giocoso e coinvolgente: la bottiglia è avvolta in carta velina, proprio come una "bomba" fatta in casa, per un'esplosione di profumi e sapori. Un tributo autentico alla nostra famiglia e alla nostra terra, per un amaro che è pura Sardegna in bottiglia.
Gli ingredienti del successo di Bomba Carta e a chi è indirizzato. C'è un modo per sorseggiare o bere Bomba Carta, con ghiaccio o a quale temperatura
Amaro Bomba Carta è perfetto per chiunque voglia sentirsi in Sardegna con un semplice sorso
Un'esplosione di gusto che unisce le erbe del nostro giardino botanico e il miele di corbezzolo
sardo, racchiudendo in ogni assaggio la natura autentica e selvaggia dell'isola.Per apprezzarne al
meglio ogni sfumatura, suggeriamo di degustarlo a temperatura ambientecon un singolo cubetto di
ghiaccio. Una vera esplosione di profumi e sapori che racconta la nostra terra.

Il futuro dell'azienda

Puntiamo a crescere in modo sostenibile, sempre con un'attenzione alla qualità e all'innovazione. Lavoriamo per ampliare la nostra gamma di prodotti e per portare i sapori della Sardegna nel mondo.

Avete in mente qualche altro prodotto per la felicità dei sardi e non solo
Abbiamo in cantiere diverse novità, ognuna un tributo alla nostra terra. Tra queste, il Paper Elderflower, un liquore delicato ai fiori di sambuco, e l'Old Tom Carta, un gin in stile Old Tom che unisce ginepro sardo e il nostro miele, per un equilibrio raffinato.
A queste si affianca il 41 Bis, il nostro primo distillato di agave blu sarda, unautentico"Tequila sardo", 41 gradi e doppia distillazione per un profilo ricco e deciso.
Non dimentichiamo il Whisky From Sardinia, realizzato con orzo maltato sardo e distillato due volte nel nostro storico alambicco in rame prima di essere invecchiato in antiche botti di castagno sardo. Il risultato è un whisky che racconta la Sardegna in ogni sorso, con un profilo unico e sorprendente che riflette il nostro territorio.


Perché si dovrebbero preferire i vostri prodotti rispetto agli altri

I nostri prodotti nascono dalla terra e dai frutti della Sardegna, sono a km zero, freschi e raccolti al momento giusto. Rappresentano il territorio e la nostra passione per la qualità.

Avete già acquisito premi

Sì, numerosi. La Vernaccia di Oristano Doc Riserva 2004 è stata premiata quest'anno a Vinitaly come Miglior Vino Bianco d'Italia con un punteggio di 96/100. Anche BitteRoma Assoluto è stato premiato come Bitter dell'Anno dal prestigioso concorso MeiningersISW, e il nostro Mirto Ricetta Storica è stato premiatocon la medaglia d'oro al Concours Mondial de Bruxelles.
Ma non solo, i nostri Vermouth Rosso di Sardegna e Vermouth Servito hanno preso numerose medaglie d'oro all'estero, il gin Giniu è stato premiato dalla rivista Gambero Rosso tra i migliori 10 gin d'Italia e i nostri liquori come la Liqu, liquore alla liquirizia, Amaro Estremista 3° (un vero amaro a soli 3 gradi!) e Amaro Bomba Carta, vantano numerosi riconoscimenti tanto in Italia quanto all'estero.

Qualche aneddoto sui vostri prodotti

Il nostro gin Pigskin deve il suo nome ai cinghiali, compagni di raccolta quando andiamo a prendere a mano le bacche di ginepro. Grifu invece è un omaggio ai grifoni della zona e al leggendario contrabbandiere Efisio Pilloni, soprannominato Grifu per il suo naso prominente, simile al becco di questi magnifici rapaci.


VALERIANO PINTUS, DAI FORMAGGI AI
VINI DELLE CANTINE DI DOLIANOVA

"MOLTI PROGETTI FINO AGLI
AMARI E LIQUORI. UN ALTRO
PREGEVOLE VINO PER L'ESTATE"

di Augusto Maccioni
(21-10-2024) Valeriano Pintus è il nuovo direttore commerciale delle Cantine di Dolianova. Un curriculum professionale trascorso, tra gli altri, nell'agroalimentare sardo con una notevole esperienza nel settore caseario con Argiolas Formaggi e nella catena supermercati IperPan , del gruppo Superemme. E' un manager di tutto rispetto che ha il compito di consolidare l'esistente e di far crescere ulteriormente le Cantine di Dolianova in un campo, quello del vino, tra i più apprezzati e rinomati del settore non solo in Sardegna. Dopo aver trascorso oltre 20 anni nell'agroalimentare e nella catena IperPan ha una nuova sfida da mandare avanti e questa volta l'obiettivo è intrigante e allo stesso tempo coinvolgente: far crescere qualitativamente e quantitativamente i vini delle Cantine di Dolianova. Non solo. Pintus ha anche altri progetti, cioè aprire altri canali di mercato con la commercializzazione di amari e liquori e annuncia una nuova bottiglia che sarà pronta per la prossima estate, un prodotto per far esaltare le nostre pietanze, sempre pregevole che saprà farsi apprezzare da tutti.



Dopo formaggi e supermercato IperPan, approda alle Cantine di Dolianova. Un bel salto

In effetti è un salto piacevole e in definitiva tutto si sposa e finisce poi nella bevanda di cui nessuno può fare a meno. Nelle Cantine di Dolianova ho trovato l'ambiente giusto per lavorare , è una grande famiglia, come azienda e come singoli ed è piacevole lavorare in un clima sereno dove ci sono molte potenzialità. Da tempo ho corteggiato l'idea di fare il salto nel mondo dei vini e ho avuto l'occasione straordinaria di far parte di questo eccellente gruppo grazie al presidente Sandro Murgia che mi ha accolto con grande entusiasmo conoscendo il mio curriculum, la mia persona e le mie capacità.

Si ferma ai vini?

Dopo 21 anni, tra l'agroalimentare e l'IperPan, è mia intenzione lavorare bene in questa nuova e bella realtà che sono le Cantine di Dolianova, dove ho trovato un gruppo straordinario che ha delle eccellenze e che ha una potenzialità invidiabile. Conoscevo già le Cantine ma vi assicuro che stando all'interno è tutto coinvolgente e di grande positivo impatto. C'è entusiasmo e interazione con le persone, una sfida senza freni piacevole che merita attenzione. Cercherò di dare il meglio della mia esperienza, alla continua ricerca di stimoli e idee, con la dinamicità delle varie fasi della vendita e con l'obiettivo di far crescere ulteriormente questa grande realtà vinicola sarda.



Che impronta darà alle Cantine di Dolianova?

Le Cantine ha una superficie di vigne più ampia ed estesa della Sardegna con 1200 ettari di vigneti, per la gran parte intorno alla casa vinicola, ed è un dato importante per il prodotto e per la sua qualità. Lavoriamo quasi esclusivamente vitigni autoctoni e crediamo nella valorizzazione delle uve sarde, con una marcata connotazione isolana. Con questo vogliamo portare alta la bandiera della Sardegna non solo in Italia ma anche all'estero. Imbottigliamo il vino che produciamo con un numero tra i più elevati della realtà sarda, qualcosa come 4 milioni di bottiglie, sono tante, ma possono crescere in maniera notevole, non voglio dire che si raggiungerà il doppio ma è l'obiettivo che stiamo cercando di portare avanti. Declinare l'aumento delle bottiglie potrebbe consentire all'Azienda di crescere come fatturato e diventare una realtà importante per il nostro territorio. Finora è stato fatto tanto con notevoli traguardi, continueremo a consolidare questi primati con la priorità di intensificare quote di mercato soprattutto nell'export e nella grande distribuzione italiana e sarda in modo particolare. Puntiamo a grandi numeri che ci saranno perché sono convinto che le Cantine di Dolianova sapranno dare il massimo per questo ulteriore percorso di crescita che sarà raggiunto grazie alla capacità e alla professionalità del gruppo, a questa grande famiglia che si distingue per affiatamento e per passione verso la grande valorizzazione delle sue eccellenze.


Il futuro delle Cantine è anche all'estero?

Siamo presenti in maniera ottimale in Sardegna, al secondo posto nella penisola mentre l'estero Il mercato vale il 20% del fatturato con grande possibilità di crescita anche se c'è un rischio in diversi Paesi come la Cina, Russia o Ucraina. Ma non ci fermiamo: puntiamo al 40% e può diventare una splendida realtà grazie alla nostra potenzialità

La bottiglia di punta della Cantina?

E' JU', un ottimo vino, simbolo della Cantina. E' stato creato nel 2016-17, è giovane, deve avere una lunga maturazione , stiamo dando l'annata 2019 (l'annata 2017 è finita). Fa parte di un progetto di grande rilevanza ed è un prodotto di eccellenza. E' stato compiuto uno sforzo notevole per la grafica e anche per l'etichetta, è un prodotto di grande struttura, elegante e longevo e con una quantità limitata. Ju' va ad accostarsi per qualità e pregio ad altri due storici rossi delle Cantine, Blasio e Terresicci.



In programma altri vini?

E' un segreto. E' un progetto che stiamo portando avanti e che sarà realizzato il prossimo anno. Sarà un vino che farà volume, e che dovrà entrare nelle case di tutti. Stiamo affrontando le declinazioni con i test di rito. Speriamo di commercializzare il prodotto prima dell'estate. I tempi sono stretti, il vino c'è e c'è anche la volontà di mettere sulla tavola un prodotto eccezionale che farà la gioia di tutti.

Per il futuro solo e soltanto vino?

Per ora solo vino, embrionale l'idea di andare oltre, aprire altra linea, altri prodotti. C'è spazio per un'altra realtà , come la produzione di amari e liquori, ma è troppo presto perché sono prodotti differenti che hanno ritmi differenti e logiche differenti

Ha intenzione di fermarsi in Sardegna ?

A livello professionale mi piace fare bene per questa nuova realtà e portare avanti alcuni progetti per far crescere e qualificare ulteriormente le Cantine con i suoi prodotti. Voglio aiutare e far aumentare la nostra economia, rimanere quindi in Sardegna e non credo di cambiare.

Hobby?

Mi piacciono i motori, tifo per il Cagliari ma soprattutto sono instancabile nel lavoro e nei progetti che sto portando avanti nelle Cantine di Dolianova

Cantine di Dolianova come sponsor?

Stiamo valutando qualche sponsorizzazione che realizzeremo il prossimo anno. Ci sono diversi progetti, poi si vedrà.




GRANDE FESTA A DOMUS DE
MARIA PER LA DEVOZIONE ALLA
MADONNA DEL ROSARIO


(6-10-2024) E' grande festa a Domus de Maria (Sud Sardegna) per la Madonna del Rosario. Nutrito il programma delle manifestazioni religiose e civili per un evento che ha richiamato tutta la popolazione e molti turisti. Come tradizione il simulacro è stato portato in processione per le vie del paese e i cancelli e le porte sono state ornate con bandierine e coccarde. La bella e folcloristica manifestazione è un appuntamento significativo non solo per gli abitanti mariesi e chiesti ma è seguito da molti abitanti di Cagliari e turisti stranieri che partecipano a tutti gli eventi. Ad affiancare il parroco padre Marco Marcis, da quasi un anno in paese, è stato chiamato il predicatore don Marco Ferrandi per i riti religiosi. Significativa la processione per le strade del paese del simulacro portato a spalle, dopo la messa domenicale delle 10,30, dai giovani mariesi che, come tradizione, hanno condiviso un momento importante della festa. Alla processione hanno partecipato gruppi folkloristici, cavalieri e amazzoni di Domus de Maria e i suonatori di launeddas Matteo Muscas e Gioele Maria Spano. "S'Arroseri" è un appuntamento da non perdere e viene seguita con grande devozione. Di seguito diversi scatti (
foto di Augusto Maccioni) della festa, in chiesa e lungo le strade del paese.




























DOMUS DE MARIA / BRUNO BARBIERI,
CARMEN LASORELLA E AMADEUS TRA I
CLIENTI DELLA TRATTORIA "DA ANGELO"

UN'ESPERIENZA GASTRONOMICA
IRRIPETIBILE: "BRAVO!"


di Augusto Maccioni
(8-8-2024) Per vivere una giornata unica bisogna andare in luoghi unici, baciati dal sole, dalla montagna e dal mare. A Domus de Maria (SU), in Sardegna, le ore trascorrono veloci, in un'oasi di pace e tranquillità dove si può vivere tra la foresta de Is Cannoneris, paradiso ai confini orientali del Sulcis, la più estesa in Europa, che ti avvolge in un compendio di macchia mediterranea, lecci e maestose conifere, meta di grande attrazione turistica per le sue bellezze floro-faunistiche, per la presenza di alcuni nuraghi, sentieri straordinari e per il cervo sardo all'interno del Parco naturale; e la località turistica di Chia, centro tra le più rinomate e più caratteristiche del sud-occidentale della Sardegna, itinerario obbligatorio per i turisti che stazionano negli alberghi e nei ristoranti e nelle spiagge con sabbia finissima e acque cristalline, più volte al top delle classifiche internazionali.



Tra montagne e mare, la ridente Domus de Maria si affaccia con prepotenza per la silenziosità e per la gioia di vivere dei suoi abitanti. In via Isonzo, strada caratteristica del paese, c'è la
" Trattoria da Angelo" e all'esterno il logo recita: specialità terra e mare. Il proprietario è Angelo Frau, persona squisitamente gentile, che da oltre 25 anni dispensa squitezze di prim'ordine. Locale con un centinaio di posti, attrezzato e molto intimo, è aperto solo per la cena dal primo giugno fino a febbraio, poi il servizio si svolge solo a pranzo. Le specialità sono carne e pesce, tutta roba rigorosamente controllata, fresca e della zona. "Continuiamo a essere umili e siamo al servizio della gente alla quale diamo il meglio della cucina e della nostra professionalità". I turisti, e non solo, fanno la fila per gustare le pietanze di Angelo e per farlo devono prenotare per tempo e spesso occorre anche due mesi per poter sedere al tavolo.



L'inizio dell'attività, dice Angelo, è stato difficile: "Mi dicevano di non aprire il locale a Domus de Maria", è stata una scommessa che alla fine Angelo ha vinto, perché è riuscito a creare un gioiello gastronomico unico e straordinario dove la cucina si sposa con le montagne e con il mare di Chia e dove la sua professionalità ha incontrato i clienti, appagati dal cibo e dalle pietanze in un giusto abbinamento tra carne e pesce, formaggi e vini di qualità per stimolare il palato di persone intransigenti che spesso tornano ammaliati dal suo menù. "Qualche giorno fa è venuto a mangiare il grande chef Bruno Barbieri", gli ha fatto mille complimenti per il pesce fresco di qualità ("Una enorme spigola mare-mare"), per il servizio e per le pietanze che ha mangiato ("E' impazzito per gli scampi"), poi ha detto che tornerà per rivivere i gusti e i profumi del suo cibo ("Per le pietanze che dai, caro Angelo, lavori sottocosto").



Non solo Barbieri ma anche la nota giornalista Carmen Lasorella e i grandi della famiglia Benetton hanno mangiato nel locale mariese, per non parlare del noto presentatore tv Amadeus che si è complimentato più volte con Angelo per aver assaporato le specialità di mare cucinate "alla sarda", una squisitezza che si porterà appresso per tutta la vita. Nel futuro di Angelo c'è un altro ristorante ubicato lungo la strada per Is Cannoneris, a pochi chilometri da Domus de Maria. E' una località straordinaria e piena di verde, dice, e spera che il nuovo ristorante possa aprire il prossimo anno. E' un'altra scommessa. E' studiato nei minimi particolare con una grande pescheria, una zona per i formaggi e una per i vini di qualità. Poi menù garantito e super fresco: gamberi, scampi, tonno ma anche carne buona e gustosa. Questa estate se volete fare un'esperienza gastronomica irripetibile andate a mangiare nella trattoria da Angelo a Domus de Maria, una visita, di piacere, che merita (
Foto di Augusto Maccioni).






I CAVALLI, LE FIGURE FEMMINILI, I NUDI
E I COSTUMI DI DESULO DEL PITTORE
CAGLIARITANO GIANFRANCO LAI

di Augusto Maccioni
(26-5-2024) Il pittore Gianfranco Lai abita a San Sperate (Cagliari). E' in campagna e la sua casa è immersa tra piante e fiori. Mi fa strada e raggiungiamo il suo studio dove ci sono molti quadri, suddivisi per genere. Sul cavalletto la figura di un cavallo, "non è ancora finito", dice, anche se il dipinto è perfetto: lineamenti decisi, pennellate che costruiscono il dettaglio in maniera sorprendente, col risultato nel segno più autentico e vigoroso. In questa come nelle altre opere emerge la vera natura pittorica dell'artista che, con assoluta sincerità nei confronti delle immagini che dipinge, è consapevole del rigore che esprime in un linguaggio affidato a pennellate spesso larghe, dolci ed essenziali.

E' il colore che da corpo alle figure, le forma in maniera completa e, nella composizione generale, crea quei meccanismi di luce e ombre che regolano i ritmi sia delle figure femminili, che dei cavalli, dei nudi e dei costumi sardi. Oltre al colore, quindi, è importante la forma perché chiude e definisce l'opera che coincide con lo sviluppo della narrazione pittorica acquisendo un fascino perfetto dove ritmi e cromatismi si producono elegantemente su tutta la tela. I cavalli di Gianfranco Lai fanno parte della sua giovinezza, quando li cavalcava a Cagliari tantissimi anni fa, e fanno parte del suo repertorio. Non sono cavalli in battaglia, né come strumenti di guerra né di trasporto, ma sono liberi e selvaggi perché hanno una loro autonomia e il loro fascino, raffigurati in maniera realistica dove ogni loro azione è un momento cromatico di ritmo e di grande eleganza.




Straordinari appaiono, poi, i cavalli ripresi in corsa come quelli che corrono per S'Ardia, la corsa sfrenata in onore di San Costantino, che anima a luglio la cittadina di Sedilo. Dipinti diversi, tele enormi, dove l'artista cattura il crudo e selvaggio movimento dell'animale con una tavolozza vivace e di grande maestosità. In ogni pennellata c'è l'essenza della libertà, dove tutto è esaltato: la terra, la polvere e il cavallo stesso in una corsa senza fine, con un realismo artistico che da vita a ogni dettaglio.

E' energia pura, sfrenata che mette vigore a qualsiasi spazio. Poi ci sono i nudi femminili che non devono essere associati con l'erotismo ma è la rappresentazione dell'ideale di bellezza e della perfezione estetica. Il corpo è rappresentato così come viene percepito in un'atmosfera impegnata dettato da un approccio realistico.



Di grande rilievo le opere dei costumi sardi femminili, molto colorati che esaltano sia i tessuti che l'eleganza femminile. L'artista inquadra cromaticamente il costume di Desulo, dai sgargianti colori e dove vengono messi in risalto le ragazze di Desulo, con il loro fiero comportamento.

Colore e forme sono diffuse seguendo la tradizione della gente di Desulo dove tutto è esaltato e dove la bellezza degli abiti e l'eleganza delle ragazze sono racchiuse nella tavolozza cromatica dell'artista cagliaritano.

Gianfranco Lai prossimamente ha in programma a Cagliari una grande antologica, sarà l'occasione di raggruppare opere della sua prima esperienza pittorica, a spatola, con la sua evoluzione pittorica recente dove la forza espressiva si fa spazio in un linguaggio che supera il realismo in una perfezione dove tutto è forma e colore, ritmo e perfezione, musicalità e pura emozione. Numerose le personali e collettive. Hanno parlato di lui giornali e riviste specializzate e tra i validi critici da menzionare Giorgio Pellegrini, docente di Storia dell'Arte Contemporanea Università di Cagliari, che dell'artista Gianfranco Lai scrive, tra l'altro, "Nei dipinti di Gianfranco Lai spicca innanzitutto una vigorosa e solida monumentalità della rappresentazione. Le forme, perfettamente conchiuse e definite, costringono persino i colori "selvaggi" della trtadizione ad obbedire docili ad un solenne linearismo, che controlla la possanza plastica e insieme le tentazioni romantiche del pittoresco, per produrre infine una marcata ed elegante compostezza "classica".

E ancora: "Un realismo di sintesi di raffinata fattura riesce a mantenere saldo il senso della struttura in una versione personalissima delle forme tra le più antiche e interessanti che la cultura materiale del Mediterraneo possa offrire". Ecco di seguito l'intervista al pittore Gianfranco Lai. (Tutte le foto sono di
Augusto Maccioni)


Domanda :
Come ti inquadri dal punto di vista pittorico?
Risposta: Ho sempre avuto la passione per la pittura e il disegno sin da bambino, erano gli anni del dopo guerra e mi divertivo a realizzare i miei disegni modellando con le dita la crusca sul tavolo di casa. Sono autodidatta, artisticamente sono nato impressionista, mi ritengo facente parte di "Ritorno all'ordine". Sono un figurativo.
Com'è la tua giornata e come passi il tempo libero?
Risposta: La mia giornata, prima del '93, era dedicata al lavoro e sindacato: dirigevo l'ufficio personale dell'odierno Policlinico e come rappresentante del personale sono stato in Consiglio di amministrazione dell'Università di Cagliari. Nel tempo libero mi dedicavo ai lavori di campagna in quanto possedevo un frutteto. Attualmente mi dedico esclusivamente alla pittura.
Un tempo le gallerie d'arte promuovevano gli artisti e c'era una diffusione dell'arte a tutti i livelli.
Le gallerie ci sono sempre state, ognuno cerca di fare i propri interessi, sia il gallerista che il pittore, è il mercato. Nulla è cambiato rispetto al passato.


L'ultima mostra, e quella che hai visto recentemente
L'ultima mia mostra è stata al Lazzaretto inaugurata dal sindaco di Cagliari Emilio Floris. Recentemente ho visto qualche mostra alla Ruota della fortuna
Hai un maestro di riferimento
Ho studiato in particolare il Caravaggio per le luci e le ombre
Quante opere hai nel tuo studio, quali sono più significative e quali sei più vicino
Ho circa120 opere, sono frutto di continue selezioni; se un dipinto non mi soddisfa lo cancello (scartavetro) e riutilizzo la tela. I temi che prediligo sono: costumi sardi, sagre, nudi, ballerine e cavalli.
Da dove parti quando inizi un tuo progetto
Quando dipingo cerco come prima cosa di inquadrare il contesto e poi il soggetto.
I tuoi colori come espressione di vita. Come la tua arte attrae lo spettatore
I miei colori, come i miei disegni, sono puliti e realistici e possono essere caldi o freddima sempre indirizzati verso un'atmosfera particolare

Come si diventa artista e quanto conta la tecnica rispetto all'idea di un nuovo progetto
Non penso che ci sia un metodo per diventare artisti (in parte si nasce con la predisposizione), ma certo è che tutto parte dalle motivazioni istinto e volontà di comunicare all'esterno ciò che si sente. La tecnica non è la condizione indispensabile ma se c'è è un grande vantaggio.
Che differenza c'è tra l'artista di oggi e quello di 30/40 anni fa
La differenza che esiste tra l'arte attuale e quella di 30/40 anni fa è data dal fatto che si è presa piena coscienza della storia dell'arte, del fatto che il panorama artistico si è sviluppato all'interno di due fasce oltre le quali non si può andare: "il gran reale e il grande astratto". Ciascun artista si colloca necessariamente all'interno di questi limiti esprimendo il proprio essere camminando in sentieri diversi ma già esplorati.

Ti fai condizionare dal mercato o sei libero nella tua espressione di vita e di libertà
Dipingo ciò che sento, il mercato non mi ha mai imposto un metodo né un contenuto, sono stato fortunato in questo perché la mia fonte di reddito per vivere non è mai stata rappresentata dalla pittura. Ho dipinto in modo continuativo con impegno e professionalmente
Ci sono degli artisti del passato che hai invidiato e quali, quelli recenti, che ammiri
Gli artisti del passato che ammiro di più sono il Caravaggio, gli impressionisti, tra i sardi Biasi, Brancaleone Cugusi di Romana, Dino Fantini



ABBIAMO INCONTRATO IL PITTORE
NUORESE ANDREA CARBONI

di Augusto Maccioni
(8-4-2024) Abbiamo incontrato il pittore Andrea Carboni nel suo studio a Nuoro. Spazi ampi e rigorosamente messi a disposizione per i suoi quadri. Le sue opere sono di una vitalità impressionante, vivono nell'ombra, si nutrono dell'oscurità e la luce sono i nostri occhi che guardano e che vogliono interpretare un mondo nel quale viviamo ma che spesso non comprendiamo per la loro complessità e la nostra piccolezza. Non solo la lotta tra la luce e il buio ma anche tra il bene e il male, in un mix che non spaventa ma che ci interroga in uno scenario di consapevolezza e di ascolto. Oggetti e corpi che si muovono nell'ombra, qualche luce sfumata. In ogni pennellata c'è una storia, i bisogni e il dolore degli uomini, persone che soffrono e che attendono risposte o vogliono vivere secondo le loro aspettative. Il mondo artistico di Andrea è in continua evoluzione. Dagli animali che ci guardano e che mettono in evidenza momenti della quotidianità, in un gioco di colori e di incanto, ai paesaggi lineari, composti con una sua urbanistica completa, vivibili nelle loro forme e nei loro movimenti cromatici fino alle città caotiche del futuro, come il dipinto "Fuga da Los Angeles" dopo un disastro nucleare, dove c'è tutta la potenza artistica di Andrea che non fa sconti a nessuno e che racconta la paura, la rabbia in un mondo che vuole rinascere ma che ha bisogno di trascorrere tappe obbligate che non sempre sono scontate. Qui c'è un fiume, là si nota la strada e i grattacieli sono quelli preesistenti, sono lì che respirano mentre la luce c'è ma il buio è più forte e la sua presenza fa parte di questo mondo cromatico che completa la realtà sfuggente. E' un buio suggestivo che fa parte della nostra quotidianità, spesso fa meno paura ed è meno tragica. Poi ci sono le nature morte, composizioni di frutta che a prima vista non seguono le regole prospettiche ma che hanno una loro vitalità, una loro forza cromatica con una rilevanza artistica di grande pregio. A dominare la composizione sono i colori con le sue forme morbide e i suoi spazi che danno una funzionalità complessiva di grande suggestione. Ecco di seguito l'intervista al pittore Andrea Carboni.

Domanda: Sei giovane e artisticamente hai prodotto diversi generi nel tempo. Puoi parlare dei tuoi inizi pittorici e della tua evoluzione negli anni
Risposta: I miei inizi pittorici volgevano alla rappresentazione di soggetti che avevo conosciuto, amici che ho in tutto il mondo essendo io un viaggiatore, animali che sono la mia grande passione, figure immaginate nei sogni lucidi, che mi capitano spesso, qualche politico della prima repubblica ma tutto legato da una credenza personale e cioè che la vita sia un percorso di crescita personale dove devi arrivare ad esprimere ciò che di più puro e profondo hai dentro. Devi arrivare a concettualizzare il sogno, il nascosto e l'originale

D.: La tua forza pittorica è insita nei tuoi lavori, prorompente e incisiva ma non c'è violenza e tutto si svolge nell'economica dare-avere
R.: Io credo nel principio della causa effetto e della reciprocità, sono leggi universali che valgono per tutti, chi non le segue non sarà mai adeguato fino in fondo nei rapporti, per molti essere corretto non è importante, l'importante è vivere, quindi piangere, litigare, cose che odio, io preferisco la pulizia nel rapporti, l'integrità, che le persone non devono disturbare.

D.: Dagli animali ingranditi e "deformati" alle nature morte e ai paesaggi urbani notturni, una maturazione che pone interrogativi e lascia aperte perplessità e naturalezza
R.: La maturazione viene con l'acquisizione di dimestichezza con il processo di creazione del quadro. Le visioni diventano più chiare precise perché lavorando con l'olio invece che con l'acrilico il percorso di produzione di un opera è meno irruenti, quindi essa ha il tempo di rendersi più precisa, come visione, nella testa dell'autore. I dettagli, le ombre e i riflessi possono essere discussi nella mente come prima non avevano il tempo di formarsi

D.: come ti collochi artisticamente
R.: Artisticamente il mio mito è Basquiat anche se la mia arte è molto diversa. Io non ho i suoi contenuti. Le mie ultime rappresentazioni ad acrilico avevano il bisogno di ridursi, volevano, su grandi tele lasciate bianche, occupare col colore pochi spazi, ed in questi spazi disegnare soggetti piccoli e di grande significato immaginifico. E' stato naturale passare dunque all'olio perché posso entrare nel dettaglio con più precisione.
Infatti sono tornato ad occupare tutta la tela, divertendomi. Non mi piacciono le cose "moderne", le trovo senza senso, o forse sono io che non le capisco. Mi sembra che il quadro sia diventato il soggetto. Mentre il soggetto deve sempre essere nella testa dell'autore.

D.: i tuoi inizi pittorici. Artisticamente sei giovane ma hai grande potenzialità. Qual è la tua forza espressiva
R.: La mia forza espressiva sta nel bisogno di fare e nel piacere al disegno. La forza espressiva che mi fa scegliere i soggetti e' il produrre soggetti che mi sembrano di valore pittorico, cioè soggetti che secondo me hanno tradizione, come le nature morte, e anche che hanno particolarità e bellezza. Con l'olio il mio cammino pittorico e' diventato meno istintivo e più universale mi ispiro a soggetti già dipinti nell'arte volendo farli miei, nonostante esca fuori comunque il mio carattere dal tratto veloce e dal fatto che su ogni tela si vede che si sono dipinti strati di strati di lavori poi coperti. Non solo, rispetto al lavoro ad olio comune, che è molto preciso e curato, si nota una certa pigrizia, si vede che una volta raggiunta l'impressione non si dà molta importanza alla cura del dettaglio, nonostante ci sia una voglia da parte mia di rendere il quadro veritiero e più realistico possibile.

D.: descrivi le ultime tue opere, comprendendo il quadro dell'Arcangelo Gabriele
R.: le mia ultime opere sono 8.
Natura morta su piatto da portata.Soggetto classico, ho voluto creare più trasparenze possibili e dare all'uva matura la sua lucentezza, mi piace il soggetto e ne farò altri. Il piatto è in ceramica e se ne nota lo spessore ed il peso. Arrembaggio di un veliero corsaro Nel mare messo un veliero corsaro si avvicina ad un villaggio sulla costa già in allerta, il cielo ha un sole calante e siamo in tarda sera, l'imbarcazione si prepara ad ammarare alle prime luci dell'alba con l'intenzione di saccheggiare il villaggio. Giovanotto che si vuole bagnare nel fiume Un ragazzotto nudo guarda da un angolo se ci siano persone nei dintorni di un fiume di una città europea perché già spogliatosi vuole bagnarsi nelle sue acque. Incubo di mezzanotte Mostri umani e animali vogliono assalire chi guarda nella notte a mezzanotte, sono frutto dello stesso incubo e sono legati tra di loro come un idea a più teste.
Arcangelo Gabriele Rivisitazione su mio gusto del mito dell'arcangelo Gabriele che affronta il demonio, in questo caso un dragone, che soccombe sotto la spada di questo gladiatore del cielo senza ornamenti e completamente nudo, con le ali piumate, sta soffocando il drago col ginocchio e si prepara ad infilzarlo.
Fuga da Los Angeles Una città distopica del futuro tra Matrix e Fuga da Los Angeles, dove i grattacieli non vengono più costruiti, ma rimangono solo quelli pre esistenti, perché l'umanità sopravvive giorno per giorno dopo un disastro nucleare in quel che resta del mondo.
Valico tra le montagne Un passo di montagna che alte vette e cime a strapiombo, dove l'occhio si perde nella nebbia e la nebbia cade nel fondo delle gole. Battaglia tra cavalieri medievali (non ancora finito)
I cavalieri nel medioevo si affrontano di fronte ad un castello sulla cima di un monte, in lontananza un paesaggio lontano all'orizzonte.

D.: com'è la tua giornata e come passi il tempo libero?
R.: Io sono molto social, anche perché ho amici fuori, in Ungheria, Polonia e Taiwan e Australia. Ho molti amici anche qui, un gruppone, che poi sono quelli del liceo e li vedo sempre. Fumo costantemente la sigaretta elettronica che tre anni fa mi ha aiutato a smettere di fumare stando in poltrona al telefono. Routine interrotta dal riprendere il quadro che ho di fronte e a cui spesso mi trovo a pensare per ridefinirlo nella mia mente. I soldi li spendo in giocattoli anni 80 che colleziono, scarpe firmate e tartarughe.

D.: L'ultima mostra, e quella che hai visto recentemente
R.: Sono andato a vedere la mostra di Patrizia Secchi
D.: Hai un maestro di riferimento
R.: Sicuramente i grandi del passato sono il mio maestro
D.: Quante opere hai nel tuo studio, quali sono più significative e quali sei più vicino
R.: Opere tra studio, Garage e casa di Posada ne ho più di trenta ma le ultime sono quelle più significative, più curate e che mi piacciono di più. C'è crescita personale dovunque perché la maturazione è ciò che ci succede a tutti nella vita, anche se non vogliamo. La crescita personale è il mio concetto primario e la trovi anche nelle nature morte dove la frutta sta appassendo o in un giovane dal bel fisico tra palazzine risorgimentali dove il fiume rappresenta lo scorrere del tempo e la sua giovinezza sarà presto un ricordo, o la lotta dei cavalieri che vedono chi tra loro sia il giù forte in una lotta per la vittoria, una gara per la vita in cui si misurano contro l'altro facendo quello che hanno fatto per una vita, combattere con la spada.

D.: Da dove parti quando inizi un tuo progetto
R.: Per iniziare un progetto parto da una immagine che trovo su Internet che mi piace, oppure vado di fantasia ma trovo i soggetti che vorrei dipingere su Internet e ne cambio le pose e l'ambientazione confacendoli alle mie esigenze.

D.: i tuoi colori come espressione di vita. Come la tua arte attrae lo spettatore
R.: Lo spettatore deve conoscere me e quello che scrivo. Nelle prossime mostre ci sarà un mio biglietto scritto con la descrizione del quadro, attaccato ad ogni cornice. Non solo, devono avere piacere al senso di vuoto e l'angoscia da cui nasce il movimento, perché è sempre presente nel miei lavori. L'angoscia come motore della crescita personale, del superarsi e l'iniziale a vivere di nuovo.


D.: Come si diventa artista e quanto conta la tecnica rispetto all'idea di un nuovo progetto
R.: Bisogna essere creativi per essere artisti. Bisogna essere generosi e voler dare.
La tecnica conta quanto l'idea, vanno di pari passo, alcune idee le puoi realizzare solo se hai la tecnica.

D.: Che differenza c'è tra la tua arte di qualche anno fa e quella di oggi
R.: La mia arte e' evoluta nei materiali, per questo è cambiata radicalmente. Olio anziché acrilico. E' diversa.
D.: Ti fai condizionare dal mercato o sei libero nella tua espressione di vita e di libertà
R.: Penso a cosa può piacere ma solo dopo aver realizzato l'opera o aver avuto l'idea di cosa dipingere.
Penso a chi la potrei comprare
D.: Secondo te l'arte è in crisi o pensi che possa rigenerarsi e produrre qualcosa di nuovo
R.: Secondo me in crisi e' la coscienza democratica occidentale, un occidente corrotto e' un occidente debole eticamente.
D.: Ci sono degli artisti del passato che ti hanno colpito e quali, quelli recenti, che ammiri
R.: Caravaggio, Basquiat
D.: stai preparando qualche altra mostra
R.: Esporrò ad una collettiva ad Ottobre alla galleria Picasso di Nuoro
D.: hai partecipato a qualche premiazione, e che cosa ne pensi dei tanti premi pittorici in circolazione in Italia
R.: Dei premi pittorici penso che siano fesserie che servono a generare poca attenzione per l'arte e molti soldi per i circoli che li mettono in essere.







ABBIAMO INCONTRATO
L'ARTISTA MARIA GATTU

NELL'ABITAZIONE NUORESE ADIBITA
A GALLERIA PERMANENTE


di Augusto Maccioni
(8-3-2024) Si chiama Maria Gattu, più semplice e coinvolgente, anche se non disdegna la forma più completa di Gonaria Gattu Maria, ma si sa l'artista è genuina come le sue opere che mettono gioia e disponibilità alla vita. La sua abitazione a Nuoro è una grande galleria permanente dove non c'è spazio per altre pratiche della quotidianità. Dice con soddisfazione: "Ce ne sono 150", ed in effetti vedere la casa piena di opere d'arte ( tante altre in bella mostra si vedono in spazi ricavati in diversi angoli delle stanze) fanno bene al cuore, perché ti tengono vivo e partecipe di un mondo rappresentato dagli scorci urbani, dai panorami dolci e lineari, dalle figure femminili e dai dettagli che infondono serenità e pace. E poi ci sono le nature morte

che non rappresentano momenti statici e trascurabili, ma hanno la forza della vita perché respirano l'esistenza dei rumori, dei movimenti, con quell'intensità e quell'efficacia che esprimono forma e volume. La frutta, i fiori, gli oggetti sono immobili ma sono espressione che colgono emozioni e che colpiscono per una narrazione intensa grazie alla loro forte comunicazione. Sono oggetti morbidi, sicuramente piacevoli da toccare, che danno l'impressione di respirare l'aria, di vivere la storia dell'artista e di comprendere la complessità dell'ambiente. Le pennellate sono sicure e i colori sono netti e limpidi grazie ai quali le cose emergono e i contorni vengono addolciti dalle forme in un contesto quasi magico dove tutto è essenziale e importante.

L'artista Maria Gattu è brava e ha talento perché non è facile dipingere nature morte. Lei sa valorizzare gli oggetti che hanno una vita silenziosa, ma intensa, delle cose fatte dagli uomini o create dalla natura, e la sua capacità e bravura sta nel dare tanta bellezza alle cose che vede e che interpreta. E i fiori e la frutta che potrebbero essere insignificanti e statici sono invece pieni di fascino e nobilità nella grande tavolozza di Gattu. Poi ci sono i cieli, i mari e le vallate che sono protagonisti con i suoi colori vividi, i giochi di luce e quell'armonia resa possibile da una realtà spesso non immaginata ma colta in una raffigurazione reale.

La pittrice Gattu si immerge nel paesaggio e si tuffa nell'immensità cogliendo l'attimo in cui la natura scopre i suoi segreti e si rivela nella sua grande magia dell'esistenza. Sorprende l'attenzione dei colori e le sfumature fino ai repentini cambiamenti atmosferici colti nei momenti irripetibili giusto per non perderli e per fissarli sulla tela per l'eternità. I quadri di Maria Gattu sono conosciuti in tutti il mondo e le sue tele sono state esposte recentemente a Londra e a Mosca dove ha avuto numerosi riconoscimenti e apprezzate recensioni. Nell'esposizione londinese una grande notorietà hanno avuto alcuni quadri quali lo scorcio di Oliena, una marina della Costa Smeralda, una giornata invernale e un dettaglio del paese di Orani. Inquadrature memorabili che hanno lasciato il segno e hanno decretato la bravura dell'artista originaria di Orune che continua a ricevere riconoscimenti e premi in Italia e all'estero. I temi preferiti dalla pittrice Gattu, totalmente autodidatta ma con un piglio straordinario da far invidia ai professionisti del pennello, sono i paesaggi marini, gli scorci paesani della Sardegna, i personaggi della tradizione sarda con i costumi e abiti dell'ambiente agropastorale fino all'arte sacra. Nuoro è la città di Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura 1926, e l'artista Gattu non può dimenticare la grande scrittrice e a lei ha dedicato il dipinto che si riferisce al libro "la madre", un romanzo intenso e commovente, come di grande spessore è il suo dipinto.

In Russia le sue opere sono abbastanza conosciute: l'artista ha partecipato a diverse mostre a Mosca proponendo tele che richiamavano con forza alla tradizione sarda ma anche opere riconducibili all'arte sacra con momenti che riflettono la gloria di Dio, quasi icone dove la luce dell'eternità traspare dai colori che sottolineano il legame tra arte e fede. Le opere di Gattu sono state ammirate anche in gallerie in Vaticano, Portogallo, Principato di Monaco ma anche a Lisbona e negli Stati Uniti d'America.

L'artista è sempre pronta a far conoscere le sue tele in ogni parte del mondo. La sua ricca e numerosa produzione artistica ha prodotto numerosi premi e critici d'arte autorevoli hanno scritto di lei parole di grande rilevanza. Su tutti da notare le critiche di grande rilievo del professor Benito Celotti (Udine), del professor Giancarlo Alù (Tivoli) e del prof. Diana Morisi che precisa: "La sua pittura rivela animo sensibile e spontaneità, sia quando riproduce profumi e colori, e sia quando fa rivivere con maestria scorci di vita passata". Maria Gattu, classe 1941, è originaria di Orune ma è stata per breve tempo in Francia, al seguito del marito che lavorava nell'edilizia, poi è rientrata nella sua Nuoro dove ha saputo trasfigurare nelle tele la sua infanzia non certo facile ponendo sempre alla base di tutto la gioia di vivere e la bellezza della natura. Negli anni 90 ha provato a dipingere paesaggi e ritratti con ottimi successi, tanto che è stata spronata a proseguire, una passione che non ha mai lasciato, intensificando l'attività pittorica, partecipando a mostre e collettive in Sardegna, in Italia e in Europa, ricevendo consensi e numerosi premi.

Nella sua casa adibita a galleria permanente, l'artista conserva i premi ricevuti e gli attestati di stima compresi quelli del grande critico d'arte Vittorio Sgarbi. Le opere di Maria Gattu sono presenti permanentemente anche nella galleria alla fontana dì Trevi a Roma. Le sue opere sono quotate, sulla base di certificazione provata, tra €.1.500 / €20.000.

Maria Gattu non è conosciuta solo per i suoi quadri, ma anche per la vasta produzione di porcellane e vasellame che l'artista decora con maestria e con grande pregio cromatico. Maria Gattu non è solo grande artista e profonda conoscitrice dell'animo umano, ma è anche personaggio di grande umanità. Tempo fa un grave problema aveva investito la parrocchia di S.Giuseppe a Nuoro e il parroco don Francesco Mariani in un'omelia aveva parlato della riparazione del tetto dell'altare della chiesa, un serio problema che ormai non poteva più essere procrastinato e aveva invitato i parrocchiani ad una iniziativa collettiva per il ripristino.

L'artista Gattu si è fatta avanti e ha regalato alla parrocchia una ventina dei suoi quadri il cui ricavato doveva essere destinato alla riparazione del tetto dell'altare della chiesa. Nel giro di qualche giorno la solidarietà è stata premiata e la grande umanità e la prontezza cristiana di Maria Gattu ha avuto la meglio, un riconoscimento di grande prestigio per l'amata cittadina nuorese.







ABBIAMO INCONTRATO LO
SCRITTORE SARDO MATTIA PINNA

ECCO IL PRIMO ROMANZO "BLUE
EYED TOKYO": PERSONAGGI

ENIGMATICI E SFUGGENTI IN
UN GIAPPONE SENZA TEMPO

di Augusto Maccioni
(3-3-2024) C'è tanta passione e grande impegno da parte del giovane scrittore sardo Mattia Pinna per il suo primo romanzo, edito da Another Coffee Stories, "Blue Eyed Tokyo", un'opera che ha trovato subito il consenso dei lettori e della critica. Il libro ha avuto un gradito riconoscimento al premio Campiello opera prima, ed è stato nominato tra i finalisti, oltre ad essere stato premiato al concorso letterario Metropoli di Torino. Un romanzo lineare, corposo, tecnicamente articolato e mai scontato, che ha come tratto distintivo una narrazione tra realtà e finzione dove i personaggi si agitano, vivono in un'atmosfera enigmatica e sfuggente. E' stato bravo lo scrittore Pinna a intraprendere un viaggio frenetico e irrazionale in un Giappone dove il tempo scorre attraverso una giovane donna senza nome, o forse dai molti nomi. Il libro è senza dubbio di grande pregio per la narrazione ma anche per i colori, i rumori, le battute ma anche le ispirazioni e i "demoni interiori" che mettono a confronto personaggi e ambiente del Giappone che pulsa di vita e di storie che appartengono al passato. Da questo punto di vista il romanzo è accattivante, pieno di sfumature, tratti che focalizzano la nostra attenzione fino alla fine. Mattia Pinna è del 1991, libero professionista e nomade digitale, lavora come Marketing Manager da freelance per aziende italiane e americane. Ha vissuto in Italia, in Giappone (dove ha studiato), a New York (per lavoro) e in Guatemala (volontariato).

Abbiamo incontrato lo scrittore, al quale abbiamo rivolto alcune domande. Ecco l'intervista.

Domanda: Qualche giorno fa a Cagliari c'è stata la presentazione del suo libro, in che modo è stato accolto il romanzo?
Risposta: Blue Eyed Tokyo è il mio romanzo d'esordio, e in quanto tale tutto ciò che è arrivato dopo la sua pubblicazione è stata per me una nuova esperienza. Nonostante gli autori esordienti in Italia siano spesso guardati con diffidenza, il romanzo è stato accolto con grande entusiasmo. Le presentazioni del libro sono state ricche di partecipazione, e ho scoperto che parlare al pubblico sia del tessuto narrativo del libro, sia dei concetti di cultura giapponese che stanno alla base della mia storia, mi appassiona davvero. Dopotutto la scrittura è condivisione, scambio di idee, suggestioni condivise. In pochi mesi dalla pubblicazione del romanzo sono anche arrivate diverse soddisfazioni impreviste, come il premio ricevuto al concorso letterario Metropoli di Torino, e la nomina tra i finalisti del premio Campiello Opera Prima. Ma la soddisfazione più grande è certamente ricevere i messaggi dei lettori arrivati alla fine del libro, quando tutta la storia si dipana e si scopre il finale, che in tanti hanno definito sorprendente.
D.: Come mai questo romanzo e l'interesse verso il Giappone?
R.: Mi sono trasferito in Giappone per la prima volta a Settembre 2015, per frequentare il PhD SESAMI della Kobe University. Quella cultura così diversa e così sorprendente mi ha conquistato fin da subito: la storia di Blue Eyed Tokyo mi venne in mente infatti in un treno giapponese, dopo appena 3 giorni dal mio arrivo nel paese. Il Giappone, a differenza di tanti altri occidentali, non mi ha colpito con la sua illusione di "paese perfetto", anzi. Mi ha sempre suggestionato per i suoi contrasti, i suoi estremismi, le sue note stonate. Sono sempre stato affascinato dalla complessità. Inoltre, alcune caratteristiche della sua cultura e dei suoi chiaroscuri, sia nella tradizione che nella modernità, mi hanno ispirato la creazione dei personaggi che popolano le pagine del romanzo, e delle dinamiche che ne determinano l'evoluzione. A oggi continuo a sentirlo un po' una seconda casa, molto più di altri posti in cui ho vissuto. E in Blue Eyed Tokyo, attraverso le vicende dei protagonisti, ho cercato di mettere in luce diverse sfumature del paese, al fine di raccontare un Giappone un po' diverso rispetto ai suoi soliti stereotipi.

D.: Sei un giovane scrittore e hai avuto la possibilità di rapportarti alla cultura giapponese. Quattro cose che hai imparato in maniera positiva di quel Paese e quattro di quelle che non hai capito o sono incomprensibili

R.: 4 cose che ho imparato in maniera positiva:
1. La prima cosa che ho capito sul Giappone, è che il Giappone non si può davvero capire del tutto. Serve davvero tanto tempo per districarsi nella loro cultura e nelle sue sfaccettature. E questo lo rende particolarmente affascinante.
2. Il Giappone è un paese contraddittorio. Ogni volta che pensi di aver capito qualcosa, riesce a buttare giù le tue convinzioni. È un paese estremo in (quasi) tutto, per cui ogni regola sociale comporta anche il suo opposto, negli ambiti più svariati. Scoprire il Giappone insegna a capire tanto della natura umana.
3. I giapponesi sono un popolo estremamente gentile e rispettoso, specie con gli occidentali. Quando hai un problema, sembrano fare a gara per darti una mano, spesso sacrificando quello che stavano facendo in quel momento. Ci si sente sempre in debito, con i giapponesi.
4. In Giappone la comunità è più importante del singolo: la cultura del collettivo mette in primo piano l'armonia sociale. Il rispetto deriva dallo shintoismo che venera ogni cosa, ma anche dall'idea che tutto ciò che facciamo in un contesto pubblico / sociale, influenza il benessere degli altri.
4 cose che ho ancora difficoltà a capire della loro cultura:
1. Nonostante la loro gentilezza e disponibilità ad aiutare viaggiatori e turisti, per un occidentale è davvero difficile ambientarsi in Giappone. Per quanto uno possa entrare nella loro cultura, imparare la loro lingua, per loro sarai sempre un po' "uno straniero". Il motivo di questa diffidenza rimane un grattacapo.
2. Il Giappone moderno è estremamente attratto dall'Occidente, e idealizza in modo esagerato l'Europa e gli Stati Uniti, attingendo a piene mani dai nostri usi e costumi. Ciononostante, per qualche motivo continua a essere un paese piuttosto chiuso, e il retaggio giapponese del "paese isolato" in qualche modo perdura ancora oggi.
3. Nonostante la loro cultura tradizionale sia infarcita di insegnamenti di incredibile profondità e saggezza, sotto tanti aspetti sembra che non riescano a fare pieno uso di tali fondamenti della loro stessa cultura. In Blue Eyed Tokyo parlo tanto del ruolo della rottura e della rinascita, concetti tanto cari alla filosofia giapponese ma spesso disapplicati nei contesti sociali e lavorativi moderni.
4. A livello politico e culturale, i grossi problemi sociali del Giappone vengono spesso ignorati, o meglio, taciuti. Piuttosto che metterli in evidenza e affrontarli, per qualche motivo incomprensibile la politica tende a usare la tecnica più vecchia del mondo: mettere la polvere sotto il tappeto. Come se non parlandone, il problema non esistesse.

D.:Ci sarà un seguito del romanzo? Punterai in modo particolare su che cosa
R.: Non posso dire nulla, ma è un'eventualità plausibile (prima o poi). Purtroppo sono estremamente puntiglioso nella scrittura, e questo mi porta ad avere tempi creativi molto impegnativi. Per di più, mi piace scrivere solo se ho veramente qualcosa di valido da raccontare. Inoltre il mio lavoro come marketer mi prende tantissimo tempo ed energie. Negli ultimi anni ho ottenuto risultati eccellenti con i miei clienti, e questo mi ha portato ad avere difficoltà a dire di no a nuovi progetti e nuove aziende da seguire, togliendo tempo alla scrittura. Sono sicuro però che alcuni personaggi di Blue Eyed Tokyo abbiano ancora qualcosa di importante da dire, e che il loro arco narrativo non sia del tutto concluso.
Chi vivrà vedrà!
D.: Hai in programma di presentare questo romanzo in Giappone?
R.: A Ottobre, se tutto va bene, tornerò in Giappone per sei mesi per riprendere lo studio della lingua.
Un'ottima occasione che la mia casa editrice Another Coffee Stories ha pensato bene di sfruttare per organizzarmi una presentazione a Novembre, presso una bellissima libreria di Tokyo.
Non vedo l'ora!


ABBIAMO INCONTRATO IL
GRANDE PITTORE LEO PES

E' CONSIDERATO UNO DEI PIU' PREGEVOLI PITTORI SARDI

di Augusto Maccioni
(5-2-2024) Lo studio del pittore Leo Pes è allo stesso tempo un percorso di opere pittoriche e di un giardino coltivato. Si, perché oltre a dipingere l'artista passa il tempo a stare in giardino, a mettere a posto le piante, a dare acqua perché anche questo fa parte della sua tavolozza, dei suoi impegni, dei suoi colori splendidi quasi accarezzati e mai banali. Prima di tuffarci nelle sue opere è una tappa quasi obbligatoria guardare quello che è riuscito a fare nel suo orto, dove c'è di tutto, ci sono anche i ravanelli ma non c'è la pianta del limone ("Ma arriverà anche quello!"), ma c'è il corbezzolo e il kiwi. Leo Pes è un moderno Cincinnato che riesce a fare sia l'agricoltore che il pittore in un mix invidiabile per la passione e l'amore che ci mette per la terra e per la tavolozza.

Il suo studio è straordinario perché vivono i suoi personaggi, i suoi paesaggi e la natura stessa all'interno di uno scenario perfetto con la sua tecnica dell'acquerello che ha il suo fascino grazie alla luminosità e alla trasparenza che qualificano le sue opere di grande pregio. Leo Pes è considerato uno dei più grandi pittori viventi sardi per la sua tecnica incantevole, che rende tutto impressionante per i suoi dettagli e per il modo in cui l'artista riesce a usare i colori per dar vita ai vari contrasti e alle sue composizioni. Molte sue opere sono state premiate, altre sono esposte in importanti istituzioni e fanno parte di collezioni private e pubbliche, altre ancora sono state pubblicate in riviste.

Pregevoli sono i paesaggi marini e le nature morte che mettono in evidenza una bellezza assolutamente sublime. Poi arrivano le opere sui cavalli, delineati non in maniera schematica ma con un aspetto dal corpo robusto e con azione forte e irruento e con un fare scalpitante verso la vittoria. Arrivano anche le pennellate di immagini che fanno parte del passato del lungomare del Poetto a Cagliari, quando esistevano i casotti e la sabbia, finissima, modulava lo scenario marino con la gente gioiosa e i bambini che si divertivano con le palette e il secchiello.

Momenti che ricordano un passato che non c'è più ma che rivivono con l'irruenza dei colori, con tratti decisi in un contesto che rimandano a un mondo fantastico. Per non parlare degli scorci paesani della sua Desulo, dove l'artista è nato, che sfruttano i suoi ricordi, ma non solo, realizzati con pennellate intense, precise che danno una apparenza visiva straordinaria. Alla base della forza creativa dell'artista c'è il continuo dialogo con la natura ma anche con la poesia che evocano situazioni che prendono corpo attraverso i "suoni" dei colori, delle pennellate, dei segni. E' un'evoluzione naturale in uno scenario umano e sociale. Leo Pes è stato allievo di Carlo Contini e ha seguito con ammirazione i grandi maestri del novecento sardo come Biasi, Delitala e Floris.

Leo Pes è nato a Desulo, vive ed opera a Quartu S.Elena. Abbastanza nutrita la sua attività pittorica con oltre 40 mostre in Sardegna e all'estero. Molti suoi quadri si trovano in collezioni private e pubbliche. Hanno scritto di lui G. Porcu, Antonangelo Liori, Augusto Maccioni, A Ciardi Duprè, G. Mameli, M. Casalini, S. Naitza. Importanti quotidiani e riviste si sono interessati della sua arte come L'Unione Sarda, La Nuova Sardegna, TERZA PAGINA e le emittenti: Rai3, Videolina, Sardegna 1 e Canale 5.

Domanda: Ciao Leo, passano gli anni e si cresce artisticamente. Come ti inquadri dal punto di vista pittorico?
Risposta: Con gli anni, la mia crescita artistica e culturale è stata piuttosto notevole. Oggi,in Sardegna, sono definito il più grande acquarellista operativo
D.: Com'è la tua giornata e come passi il tempo libero?
R.: la mia giornata è molto semplice, dipingo quasi ogni giorno. Dipingere il più possibile è importantissimo, tiene allenata la mente e la mano. Per il resto, la maggior parte del mio tempo libero viene trascorso sulle montagne della Sardegna. Trascorro tante ore in lunghe camminate che mi ispirano sensazioni di luce, colore e atmosfere che diversamente non potrei trovare.
D.: Un tempo le gallerie d'arte promuovevano gli artisti e c'era una diffusione dell'arte a tutti i livelli. La situazione odierna
R.: Oggi la situazione riguardante le gallerie d'arte è semplicemente catastrofica. Delle 30-35 gallerie che operavano a Cagliari negli anni 70-80 oggi a malapena resiste imperterrita una sola gallerie d'arte, più qualche piccola associazione culturale.

D.: L'ultima mostra e quella che hai visto recentemente
R.: La mia ultima mostra, ormai risale a una decina d'anni fa. Era stata allestita alla "Galleria 13" di Cagliari. L'ultima mostra che ho visto recentemente, è quella di Antonio Corriga, presentata al EXMA di Cagliari.
D.: Hai un maestro di riferimento
R.: Il mio maestro di riferimento è il pittore Carlo Contini che è stato anche il mio insegnante all'Istituto statale d'arte di Oristano negli anni 60... Negli anni 70 ho avuto un periodo di collaborazione con Corriga e Costantino Spada.
D.: Quante opere hai nel tuo studio, quali sono più significative e quali sei più vicino
R.: Normalmente, nel mio studio ho dalle 40 alle 50 opere, dipende dal periodo, oppure, se ho delle mostre o qualche evento in corso. Non ci sono opere più significative di altre.. ogni opera è il risultato di quella dipinta in precedenza ... è un lavoro che dura tutta una vita. Sì, ogni tanto riesco a dipingere quadri più interessanti di altri, ma questo dipende dallo stato d'animo del momento.

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D.: Da dove parti quando inizi un tuo progetto
R.: Non esiste una regola precisa, alcune volte dipingo di getto senza ripensamenti. Altre, inizio con dei bozzetti eseguiti a matita, che in un secondo tempo elaboro col colore
D.: I tuoi colori come espressione di vita. Come la tua arte attrae lo spettatore
R.: Il colore è importante, ma quando si dipinge con l'acquerello, la ricerca della luce è fondamentale per ottenere un risultato coinvolgente. Lo spettatore che contempla un dipinto con l'acquerello, è completamente coinvolto dalla delicatezza, dal susseguirsi dei passaggi tonali e luminosi, che in alcuni casi riescono a toccare l'anima.
D.: Come si diventa artista e quanto conta la tecnica rispetto all'idea di un nuovo progetto
R.: Forse "artisti " non si diventa mai, oppure raramente. in compenso si può essere dei buoni pittori. ( io credo di esserlo). Per essere dei buoni pittori, la tecnica è basilare, naturalmente unita a una buona dose di sentimento e creatività.
D.: Che differenza c'è tra Leo Pes di oggi e quello di 30/40 anni fa
R.: Per un pittore, il tempo è fondamentale. Col tempo si acquista consapevolezza, esperienza e conoscenza della tecnica. Quando si sperimentano i primi lavori, si è sempre confusi, insoddisfatti, poi col tempo si acquista esperienza e sicurezza... poi ci si rende conto di essere unici e irripetibili, e quella pittura diventa un marchio di vita, con la certezza che è unica, inimitabile e diventa una cosa unica col pittore.
D.: Ti fai condizionare dal mercato o sei libero nella tua espressione di vita e di libertà
R.: Non esiste un mercato che chiede cose particolari, normalmente chi compra un dipinto, lo fa perché prova una particolare emozione per quel lavoro. Come quando si ascolta la musica. Personalmente, dipingo tutto ciò che sento al momento. Ogni tanto, eseguo qualche ritratto su commissione. Nell'insieme sono sempre libero. La mia è anche una scelta di vita

D.: Secondo te l'arte è in crisi o pensi che possa rigenerarsi e produrre qualcosa di nuovo
R.: Secondo me tutta la nostra cultura è in crisi. L'arte odierna, segue le tendenze dettate dai Social ,le nuove generazioni, cercano di fare arte manipolando immagini scaricate da un Computer. Il senso della pittura come s'intendeva in un non lontano passato ormai si è perso. Oggi si parla di installazioni, elaborazioni digitali e così via...nessuno parla di pittura, quella vera fatta di colori e tanti sacrifici. Alla fine, come tutto avviene, sarà la storia a decidere per noi nel bene e nel male.

D.: Ci sono degli artisti del passato che hai invidiato e quali, quelli recenti, che ammiri
R.: L' invidia non mi appartiene, diciamo che ho sempre apprezzato la qualità, sia nei pittori del passato che in quelli recenti. Senza andare lontano, la Sardegna ha prodotto in tutto l'arco del novecento un considerevole numero di pittori qualitativamente validi. Personalmente seguo la loro scuola e la loro tendenza.





ABBIAMO INCONTRATO IL
GRANDE PITTORE MARIO ADOLFI
LE SUE OPERE SI TROVANO IN NUMEROSE
COLLEZIONI PUBBLICHE E PRIVATE

di Augusto Maccioni
(14-1-2024) Incontriamo l'artista Mario Adolfi nel suo studio a Nuoro dopo tanti anni. Il suo percorso pittorico è straordinario, dalle sue prime opere deliziose per perfezione delle immagini e per la compostezza dei colori ai "progetti" maturi che spaziano con una dinamicità cromatica che mettono a fuoco problemi complessi resi semplici con le pennellate che movimentano storie e personaggi. Le sue opere hanno la forza della quotidianità, le sue figure femminili, i nudi in modo particolare, slanciate e giovanili, delineano ideali di bellezza che rappresentano al tempo stesso armonia e razionalità ma anche l'aspetto dionisiaco senza toccare mai la passione sfrenata. E i cavalli di Adolfi, impeccabili e impressionanti, selvaggi nel movimento e nella postura, che a prima vista impressionano ma che hanno la forza e il coraggio di esprimere sentimenti profondi anche se lontani dalla quotidianità spesso caotica del nostro tempo. Sono animali, non solo cavalli, che fanno parte della nostra vita, a volte sono amici, forse complici, sicuramente gioiscono e soffrono lontani da noi ma che ci parlano come se fossero figure umane. E le nature morte, le composizioni di frutta, sono una narrazione silenziosa e senza respiro, che simboleggia il passaggio dalla realtà alle idee, e la perfezione delle forme fa emergere colore e luce nel tentativo di andare oltre le cose reali, oltre uno sforzo che si sperimenta con fatica guardando una realtà che forse non esiste.




Negli anni '70 ha partecipato attivamente a Cagliari in diverse collettive d'arte e personali. Personaggio di grandi vedute, aperto ai movimenti pittorici, critico consapevole per migliorare la comprensione dell'arte in ogni epoca e situazione, Adolfi è un pittore che mostra attenzione a tutto, al figurativo ma anche all'astrattismo, alla pittura dinamica o alla scultura. Nella sua Nuoro, vive con forza con le sue opere d'arte, con le figure femminile, con i suoi paesaggi fiabeschi o con i suoi cavalli in libertà ma anche illustrando libri o dando vita e movimento alle poesie di grandi contenuti. E come non ricordare opere memorabili e straordinarie dedicate alla grande scrittrice nuorese, premio Nobel per la letteratura nel 1926, Grazia Deledda.



Mario Adolfi è nato a Bosa il 5 maggio del 1952. Si è trasferito a Nuoro nel 1958 dove è ancora residente. Ha lo studio in via Aurelio Saffino 10 a Nuoro. Dopo il diploma all'istituto d'arte nel 1972, nel 74 inaugura la sua attività pittorica con una personale nella Pinacoteca Comunale a Nuoro. Dagli anni '70 annovera nel suo curriculum un numero sterminato di personali e oltre partecipazioni nelle più importanti manifestazioni artistiche. Ha ordinato personali a Milano, Roma,Bologna, Losanna, Ginevra Norimberga, Melbourne (Australia). Sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero. Alcuni esempi di opere pubbliche - pitture e sculture - "Grande Ardia" nella sede centrale del Banco di Sardegna (1999), busto bronzeo (dr. Calamida medico dei poveri) -2000 - Martiri di Nassiria (pietà) 2006. Ritratto bronzo di Salvatore Satta 1997, don Muntoni, piazza don Muntoni, Orgosolo, Grande tela della deposizione di Cristo, S. Ignazio Loyola, Oliena, grande tela di S. Giovannino, la vergine Maria e i santi (San Ignazio di Loyola) Oliena.. Manifesto dell'Europa del Folclore 2003, varie illustrazioni su riviste e libri. Della sua attività si sono occupate varie testate televisive e della carta stampata, riviste specialistiche d'arte. Ha collaborato dal 1994 al 2000 con la facoltà di sociologia di Urbino fondando il gruppo Urbs Artis.



Domanda: Ciao Mario Adolfi, passano gli anni e si cresce artisticamente. Come ti inquadri dal punto di vista pittorico?
Risposta : Dal punto di vista pittorico non mi colloco in nessun grande gruppo, poiché ogni giorno il mio interesse narrativo può cambiare: posso dipingere cavalli in libertà, o vite silenti o ancora nudo femminile per poi passare al materico, all'astrattismo o alla pittura dinamica o infine alla plastica. Attualmente sono molto attratto dalla poesia e sto illustrando il libro dell'inquietudine del grande poeta e critico portoghese Fernando Pessoa. Mi limito a brevi considerazioni dell'opera, di questo immenso artista e al racconto in forma pittorica della poesia.
D.: Com'è la tua giornata e come passi il tempo libero?
R.: La mia giornata è sempre stata regolata: mattina in studio, senza precisi vincoli di orario, poi casa a pranzo, ritorno nel pomeriggio in studio. In questo luogo mi immergo in una solitudine creativa: o leggo o lavoro. Questo è anche il mio luogo dell'anima, il mio pensatoio magico.
D.: Un tempo le Gallerie d'arte promuovevano gli artisti e c'era una diffusione dell'arte a tutti i livelli. E la situazione odierna?
R.: Il rapporto di tanti anni fa era organizzato nella triade: artista - gallerista -critico d'arte, ora non esiste più o perlomeno se esiste ancora è cambiata completamente la prospettiva. Esistono ancora le Gallerie d'Arte ma manca quella originaria protezione e quella promozione culturale dell'artista che era il cemento di un sano rapporto di reciproca stima



D.: Hai un maestro di riferimento?
R.: Non ho un preciso riferimento nei maestri del passato, nel senso che ho tante fonti di espressione sempre legati al realismo magico che sa raccontare l'animo umano. Se dovessi scegliere un maestro in particolare propenderei per il grande Arnold Bocklin, il maestro di Basilea. Comunque io ho sempre pensato che i maestri devono essere giganti se si vuole operare di diventare giganti a nostra volta.
D.: Quante opere hai nel tuo studio e quali sono più significative per te
R.: Ho in studio un numero considerevole di opere che mi consentono sempre di poter organizzare le mostre con una visione esaustiva del mio lavoro. Naturalmente sempre con novità e inediti che giustificano l'esito di una mostra
D.: Da dove parti quando inizi un'opera, un tuo progetto
R.: Prima l'opera va pensata nella testa e attraverso il disegno si va verso una traccia con caratteristiche di una forma empirica che poi si manifesterà nell'opera finita come forma trascendentale
D.: I tuoi colori come espressione di vita. Come la tua arte attrae lo spettatore
R.: Chi guarda un'opera credo che non si limiti alla mera osservazione con gli occhi, ma metta in relazione tutti i sensi. Per capire un'opera bisognerebbe spodestare delle convenzioni di pregiudizi e della schiavitù del gusto personale e sentire con gli occhi, con il naso, le orecchie e soprattutto il cuore.
D.: Come si diventa artista e quanto conta la tecnica rispetto all'idea di un nuovo progetto
R.: La costante del sogno è più presente della vita reale. Un mondo reale che esiste solo perché è pensato non necessariamente è vero, uno stare altrove è il vero luogo dove stare. Considero però l'arte come un cammino da percorrere e che l'arte vera ci venga a visitare nel nostro lavoro andrebbe considerata come una goccia di splendore nata da tanta fatica. L'arte è per me un esercizio per anziani che non abbiamo ancora ucciso il bambino che è in loro fino alla fine. Pensiero emozionato e al tempo stesso emozione che si trasforma in pensiero necessari entrambi per una buona arte.
D.: Che differenza c'è tra Mario Adolfi di oggi e quello di 30/40 anni fa
R.: Se dovessi cercare differenze tra me di 30-40 anni fa direi che oggi mi manca quella ricerca di assoluto dell'arte giovanile, ma preferisco tutte le incertezze di oggi e cercare di colmare tutti quei vuoti di un'anima che non omette di cercare pretesti per nutrirsi sempre di più.
D.: Ti fai condizionare dal mercato o sei libero nella tua espressione di vita e di libertà
R.: Non mi faccio condizionare dal mercato ma se sei un'artista hai tante possibilità di ricercare tante forme di espressione. In qualche modo il mercato incontra l'arte o per meglio dire incontra quelle sensibilità che il tempo attuale ci offre come novità






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